La notizia di alcuni giorni fa annunciata da Mosca, di una graduale diminuzione dei propri uomini al confine ucraino, ha dato vita a un balletto politico dai risvolti interni e internazionali, confluendo in un capitombolo di posizioni che sembravano nette e che con il tempo sono mutate. Chi invece va per la propria strada è la Nato: il disegno atlantico è chiaro e la mossa accondiscendente di Mosca sembra aver dato nuovo slancio.

Gli Usa spingono per esercitazioni e aumento della difesa atlantica a est: possono contare su paesi allineati (Polonia e Lituania in primis), ma si sono già scontrati con Francia e Germania. E l’ipotesi di un allargamento effettivo della Nato in Ucraina, ieri ha ricevuto un colpo all’indietro dal candidato numero uno alle prossime presidenziali del 25 maggio. Il «re del cioccolato» e oligarca Poroshenko (dagli oligarchi di Yanukovich a quelli «neoliberal» il passo si è consumato decisamente in fretta), ha affermato che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato «è sostenuto da meno del 39% della popolazione» e che quindi non può essere preso in considerazione.

Mossa elettorale in funzione delle regioni orientali? Può darsi, ma di sicuro il «no» tedesco e francese trapelato ieri, ha temperato le posizioni. L’oligarca ha poi invitato Tymoshenko (supportata anche dai nazisti di Svoboda) a ritirarsi dalla competizione presidenziale («siamo in un paese nuovo», ha specificato) e si è detto disposto a vendere la sua azienda «Roshen» – un gigante del settore dolciario – se eletto. «Come presidente – ha affermato – mi voglio dedicare e mi dedicherò solo al welfare dello Stato».

Del resto la Nato sembra non mollare e ieri Rasmussen, il segretario generale, ha di nuovo lanciato l’allarme di una potenziale invasione russa (circostanza che non viene presa in considerazione, ora come ora, neanche da Kiev). A rafforzare la posizione, è intervenuto il comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Philip Breedlove, che al Wall Street Journal ha detto che i russi «in tre giorni» potrebbero già entrare nel paese, descrivendo la situazione come «estremamente preoccupante» perché la forza dispiegata da Mosca è «molto grande, molto capace e molto pronta».

Il Cremlino si è detto «preoccupato» di questo intenso fervore atlantico. Contemporaneamente sul fronte interno, è tornato a parlare Yanukovich, che ha definito «una tragedia» il passaggio della Crimea alla Russia. E proprio lui, filo russo, viene superato nella corsia verso Mosca, dall’emanazione politica di Majdan, fin da subito contrassegnata da un atteggiamento più anti russo che filo europeo, ovvero Yatseniuk, il premier ad interim.

L’uomo americano a Kiev, ha infatti specificato che il suo governo è disposto a trattare per rilanciare le relazioni con la Russia, aggiungendo che i ministri degli esteri dei due Paesi «dovrebbero incontrarsi al più presto» e che bisogna discutere «di alcuni temi, tra cui il commercio e l’energia». Il primo ministro di Majdan ha comunque ribadito che Kiev non riconoscerà mai la Crimea come russa e che Mosca deve rispettare l’indipendenza dell’Ucraina e la sua aspirazione a entrare nell’Ue. Un riavvicinamento che potrebbe dipendere molto dalla riforma costituzionale in esame. Ieri è cominciata la discussione parlamentare sull’assetto istituzionale: secondo quanto è trapelato, il parlamento ucraino starebbe valutando l’idea di una maggiore autonomia alle regioni, evitando però una scelta puramente federale (che invece piacerebbe a Mosca).

Infine, giunge a compimento l’indagine sulla morte di «Sashko il Bianco», militante neonazista di Settore Destro, morto in uno scontro a fuoco con la polizia lo scorso 25 marzo. La polizia ucraina avrebbe agito legalmente nella sparatoria. Il ministro dell’interno ucraino, Arsen Avakov, di cui Settore Destro ha chiesto le dimissioni, ne ha parlato ieri: «Da quel che ho visto nel rapporto – ha detto il ministro – la polizia ha agito legalmente».