A Tehran sorridono. L’Egitto ha scelto di non aderire al progetto di Stati Uniti e Arabia saudita volto a dare vita all’Alleanza strategica del Medio Oriente (MESA), più nota come la Nato araba. La decisione è stata comunicata da el Sisi a Donald Trump durante il suo viaggio negli Usa di qualche giorno fa. Nella capitale iraniana perciò si festeggia. La funzione della MESA infatti è di formare un blocco arabo-sunnita contro l’Iran. Blocco che avrebbe la copertura di Washington e quella esterna e non dichiarata di Israele. «L’Egitto è uno dei paesi più importanti e potenti del mondo arabo e musulmano, che può svolgere un ruolo importante per la pace, la stabilità e la sicurezza nel Vicino Oriente», ripeteva ieri il portavoce del ministero degli esteri iraniano Bahram Qassemi.

A Tehran sanno che questa alleanza militare alla prima opportunità concreta passerà all’attacco contro quello che a Riyadh (e a Tel Aviv) definiscono «l’espansionismo iraniano». Israele, che ha combattuto con tutte le sue forze l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano del 2015, non ha mai messo da parte l’opzione di un massiccio attacco aereo contro le centrali atomiche iraniane dove, afferma, si potrebbero assemblare, in qualsiasi momento, ordigni nucleari. Ed ha accolto con entusiasmo la decisione, presa circa un anno fa dall’alleato Trump, di sfilare gli Stati uniti dall’accordo del 2015 e di imporre nuove pesanti sanzioni all’Iran. Sino ad oggi tutti i controlli dell’Aiea, l’agenzia atomica internazionale, hanno escluso che l’Iran sia sul punto di produrre bombe atomiche. Tutto ciò mentre resta senza alcun controllo l’arsenale nucleare segreto di cui dispone Israele e che Tel Aviv non ha mai smentito o confermato, mantenendo da decenni una «ambiguità nucleare».

Non sono chiari i motivi della rinuncia egiziana. Il Cairo, spiega qualcuno, non condivide l’isteria anti-iraniana che domina ai vertici del regno saudita e nelle altre petromonarchie del Golfo, ad eccezione dell’Oman che con Tehran continua ad avere rapporti stabili. L’Egitto post-golpe del 2013, a causa della sua dipendenza dagli aiuti finanziari di Riyadh, di fatto è stato costretto ad unirsi alla Coalizione militare formata dal principe saudita Mohammed bin Salman per combattere i ribelli sciiti in Yemen (appoggiati dall’Iran) e non ha mai messo a disposizione truppe per i combattimenti di terra.

Esita anche la Giordania. Re Abdullah II è stato il primo leader arabo sunnita a parlare di “mezzaluna sciita” sul Medio oriente in riferimento alla crescente influenza dell’Iran nella regione. Allo stesso tempo il monarca hashemita ritiene ben più pericoloso dell’Iran, per la stabilità del suo regno, le politiche di colonizzazione e negazione dei diritti dei palestinesi attuate dal confinante Israele. «La politica espansionista di Israele è un pericolo mortale per la Giordania, non l’Iran», ha scritto Hassan Barari sul Jordan Times. Inoltre il Qatar, diviso da un conflitto diplomatico ed economico molto aspro con Riyadh, tiene una posizione di basso profilo sui disegni della famiglia Saud.

Secondo alcuni il passo indietro egiziano sarebbe anche conseguenza di una presunta inconsistenza del progetto e della considerazione che se Trump non sarà rieletto il suo successore potrebbe accantonarlo. Il progetto però va avanti e appare concreto. L’8 aprile i sauditi hanno ospitato un incontro ad alto livello con Usa, Emirati, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar e Giordania. L’analista Suleiman al Oqaily ha descritto la riunione come «un passo decisivo per il lancio dell’alleanza che mira a proteggere il mondo arabo». Al Oqaily, vicino alla famiglia reale saudita, sostiene che «la minaccia iraniana è più pericolosa di Israele». L’Iran, dice, «sta approfittando dei suoi legami religiosi con il mondo arabo per espandersi e distruggerlo mentre Israele non può penetrare la società araba (come farebbe Tehran, ndr), può farlo solo attraverso i suoi servizi di intelligence». Parole che fanno della MESA un’alleanza di guerra.