Uno dei libri preferiti di Jen Psaki, per sua ammissione, è «Anna Karenina»; forse perché Anna aprì la stagione delle fughe in Occidente. Ma, a parte Tolstoj, la portavoce del Dipartimento di Stato Usa, popolarissima a est per i suoi astigmatismi geografici, si associa raramente ai punti di vista russi.
Questa volta, però, mentre il comandante in capo della Nato in Europa Philip Breedlove, basandosi su affermazioni di Kiev, grida all’invasione russa dell’Ucraina e l’Osce parla di mezzi militari senza insegne alla periferia orientale di Donetsk, Psaki dichiara che Washington non dispone in merito di informazioni tali da poter essere rese pubbliche. Detto questo però, Psaki non ha dubbi che la Russia violi gli accordi di Minsk sul cessate il fuoco, mentre Washington non è al corrente di alcun bombardamento dei quartieri civili di Donetsk da parte ucraina.
Il portavoce del Ministero degli Esteri russo, Aleksandr Lukashevic, ha definito «uno spauracchio» le dichiarazioni circa un presunto intervento russo in Ucraina: «tali accuse da parte occidentale sono verosimilmente guidate dai tentativi dei militari di quei paesi di giustificare le proprie azioni». D’altro canto, il Ministro della Difesa russo Sergej Shoygù dichiara che «l’atmosfera ai confini sud-occidentali della Russia, alla frontiera con l’Ucraina, rimane tesa», mentre il vice rappresentante russo all’Onu, Aleksandr Pankin, ha definito le dichiarazioni Nato sulle truppe russe in Ucraina «consuete falsità propagandistiche».
Reali sono per contro le manovre Nato in Estonia «Trident Juncture» che, iniziate il 9 novembre, proseguiranno fino al 17 nel mar Baltico. Il capo del Dipartimento per la cooperazione militare del Ministero della Difesa russo, Sergei Koshelev, ha dichiarato che «per questa esercitazione si parla di interoperabilità in caso di attacco a un paese membro da parte di un grande stato ostile; ma l’Estonia, eccetto che con la Federazione russa, confina solo con “piccoli paesi amici”. Ciò significa che l’esercitazione è esclusivamente anti-russa». In effetti, il generale tedesco Hans-Lothar Domröse, comandante delle forze alleate della Nato in Europa settentrionale e orientale, citato da Ria Novosti, ha dichiarato che le esercitazioni sono concepite come «risposta alle azioni di Mosca». Prima di «Trident Juncture», il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva dichiarato che, per il «rafforzamento della difesa collettiva», l’Alleanza svolgerà nel 2015 duecento manovre: quasi una ogni due giorni e Die Welt ha scritto che la Nato esamina la possibilità di svolgere nel prossimo anno esercitazioni, mai viste per dimensioni, ai confini russi, cui prenderanno parte dai 25 a 40mila soldati. Nel Donbass intanto, mentre altri miliziani liberati nello scambio con prigionieri ucraini continuano a raccontare di torture, percosse, esecuzioni simulate, cui sarebbero stati sottoposti durante la prigionia, a Lugansk si era parlato di un voto del Parlamento locale sull’unione alla Federazione russa; ma la notizia è stata subito smentita, al contrario dell’annuncio del Ministro della Difesa ucraino Poltorak sulla preparazione di nuove operazioni di combattimento, con il ridispiegamento delle forze e l’approntamento delle linee di difesa. E mentre il Parlamento europeo ratifica a maggioranza l’accordo di associazione della Moldavia all’Ue, i media britannici danno ampio risalto alla morte nel Donbass della più ricercata terrorista inglese, la «vedova bianca» Samantha Lewthwaite, combattente del battaglione neonazista «Ajdar», freddata da un cecchino volontario russo.
Infine, nel Nagorno-Karabakh, dove dal 1994 si vive in condizioni di «né pace, né guerra» le cose rischiano di precipitare, dopo l’abbattimento ieri l’altro di un elicottero armeno da parte azera.