Con la caduta del Muro di Berlino fu evidente che il ciclo storico della Nato era ormai concluso, per il venir meno dell’avversario – l’Unione Sovietica, con relativo patto di Varsavia – e anche del controllo esercitato su un altro avversario, quello della guerra precedente, la Germania ormai riunificata. Come recita un filastrocca inglese: «Humpty Dumpty era seduto su un muro; Humpty Dumpty fece una gran’ caduta. Tutti i cavalli, tutti gli uomini del Re, non riuscirono a rimettere insieme Humpty Dumpty».

Ciò resta vero nel momento in cui i capi di stato e di governo degli stati membri si riuniscono a Londra per festeggiarne il settantesimo anniversario, malgrado tutti gli uomini del Re abbiano fatto del loro meglio, e del loro peggio, per mettere insieme i pezzi di Humpty Dumpty.

DALLA CADUTA del Muro in poi, la politica militare mondiale è stata segnata da una frenetica ricerca, da George H.W. Bush in poi, di un avversario degli Stati Uniti che surrogasse quello venuto meno. Un’esigenza accentuata dal declino del loro potere relativo ad altri protagonisti globali in un mondo non più bipolare. Insomma, un nemico credibile in quanto minaccioso a sufficienza per convincere l’elettorato statunitense a pagare con imposte e vite umane, anche proprie, i costi continuamente crescenti di quello che, alla fine del suo mandato, un presidente-generale di nome Eisenhower, aveva definito complesso militare-industriale. Doppiamente pericoloso: oltre che per ovvie ragioni emulative, anche perché avrebbe gradualmente eroso la democrazia americana. La Nato non è che un aspetto regionale di questa logica, come dimostrano le reiterate esortazioni, che Trump rivolge ai propri alleati europei, di pagarsi questo lusso.

L’ATTACCO alle Due Torri solo transitoriamente corrispose a questo bisogno. Fu presto evidente che il terrorismo di marca islamista, pur presente e debitamente drammatizzato, per sua natura costituisce una sfida prevalentemente politica e, sul piano tecnico, di polizia internazionale. Quell’attacco, configurato come atto di guerra, servì quale iniezione di adrenalina alla Nato, con relativo ricorso all’art. 5 (un attacco contro uno é un attacco contro tutti), come pretesto per attuare una parola d’ordine largamente diffusa a Bruxelles: “Out of area or out of business”, fuori area o fuori gioco. Ne risultarono due interventi militari, prima in Afghanistan, poi in Iraq, al di fuori di ogni parvenza di legalità internazionale, che vengono ormai liquidate come delle sconfitte politiche.

Altrettanto si può affermare per le guerre condotte in Siria e in Libia ove, ad oggi, l’unico vero risultato consolidato è quello del ruolo acquisito da Vladimir Putin nell’area mediterranea.

RESTAVA Putin, a sua volta nostalgico del bipolarismo connivente che aveva caratterizzato la guerra fredda, quale paradossale santo protettore della Nato. Con atti aggressivi, peraltro in parte giustificati dal venir meno dell’impegno occidentale a non espandere l’alleanza ai confini dell’ex Unione Sovietica, il presidente della nuova ed antica Russia, bisognoso di consolidare il proprio autoritarismo interno, ha fornito occasione e pretesto per configurarla come potenziale avversario militare, con una ragguardevole dimensione nucleare.

CON QUANTA credibilità, al di fuori degli sforzi istituzionalmente dovuti dal «povero» segretario Jens Stoltenberg, in un contesto globale minacciato nella propria sopravvivenza dalla diffusione incontrollata di armi anche nucleari, oltre che dal rapido degrado climatico; da migrazioni bibliche che sfociano in conflitti tra poveri; dalla crescita, misurata ma implacabile di una grande potenza, la sola in cui il potere politico coincide con quello economico e finanziario?

Non era e non è difficile prevedere che, di fronte alla sua morte cerebrale, non soltanto evidente a Macron, il medico impietoso di Parigi, l’estremo tentativo di salvaguardare la sopravvivenza della Nato, sarà ispirata ad un rinnovato bipolarismo con la Cina, con l’intento di militarizzare tensioni ancora oggi prevalentemente commerciali.

GUARDANDO al destino di oltre mezzo miliardo di europei, è sufficiente il pur prezioso neogollismo di Emmanuel Macron, per salvaguardare il loro, il nostro diritto a scegliere democraticamente il proprio destino? Ad avere una voce ove si gioca il futuro del pianeta? A non essere semplice terreno di conflitto e di spartizione da parte dei vari Trump, Putin, Xi Jinping? Le risposte a questi interrogativi costituiscono un impegno, tutto europeo, che investe anche noi italiani.