Una settimana fa ho ascoltato un concerto straordinario per la qualità delle musiche, la bravura degli esecutori, la particolarità del luogo.

Ho continuato a pensarci. Rebecca Raimondi al violino e Alessandro Viale al pianoforte (il duo Ardorè, già sentito con Mendelssohn, Brahms, Respighi) hanno interpretato di seguito La sonata di Giacinto Scelsi (1934) L’arte della Divinazione di Daniele Carnini (2017), lo Scherzo di Ennio Morricone (1996), Geometrie di cantici di Pier Paolo Cascioli (2019, prima esecuzione assoluta) e Introduzione e allegro di Goffredo Petrassi (1933).

Una iniziativa di Nuova Consonanza, storica realtà romana che da più di mezzo secolo (quest’anno era il 56esimo festival) promuove la musica contemporanea, ora negli spazi – veramente interessanti – dell’ex Mattatoio nel quartiere Testaccio della capitale.

I miei pensieri hanno vagato, e continuano a farlo, in varie direzioni.

Intanto ascoltare una composizione appena creata e non ancora eseguita era un’emozione mai provata.

Non saprei descriverla, se non come un rapporto assolutamente unico con il tempo, con i misteri della musica, e con la creatività e la persona dell’autore, che tra l’altro era presente, insieme all’altro giovane musicista Daniele Carnini.

La sala – non affollata, ma con un pubblico entusiasta – era all’interno dell’edificio chiamato Pelanda dei suini. Il luogo deputato a pulire dai peli i corpi dei maiali macellati.

C’è qualcosa di surreale, stimolante e inquietante, nel vedere questi impianti “industriali” di fine Ottocento, deputati al servizio di un incrocio drammatico tra la nostra vita è quella degli animali di cui ci nutriamo, oggi convertiti alla produzione artistica e culturale.

Per arrivarci, però, lunga passeggiata nel buio più denso, senza alcuna indicazione. Il che fa pensare condizione di una città che oggi fa notizia quasi esclusivamente per il suo degrado, sede però non solo di una millenaria inscalfibile bellezza, ma anche di singolari ricchezze nascoste.

Quando e come si riuscirà a svelarle?

E poi le musiche. Difficili. Da ascoltare e da capire, e immagino da eseguire. Due composizioni recentissime, incastonate tra personalità così diverse e importanti della musica italiana e non solo italiana, come Scelsi e Petrassi.

Quest’ultimo, attraverso il pezzo eseguito, con le sue razionali allusioni barocche, parla di una “scuola” e di una “tradizione” nella ricerca dell’innovazione in musica. I due giovani compositori sono allievi di un suo allievo (Ivan Vandor). Mentre anche Ennio Morricone – universalmente noto per le sue colonne sonore – ha studiato composizione con Petrassi, e quel suo Scherzo per violino e pianoforte, dalle linee melodiche rigorose, ben difficilmente potrebbe essergli attribuito da chi ha nelle orecchie gli indimenticabili accompagnamenti dei western italiani.

C’è poi la vicenda originale e anomala di Scelsi (1905-1988) riscoperto da un pubblico più ampio (me compreso) da non molti anni. Ma rapidamente annoverato tra gli artisti più importanti della musica contemporanea.

L’esperienza di questo concerto mi ha convinto a dotarmi della sua incredibile “autobiografia” (Il sogno 101, ristampato quest’anno da Quodlibet). Fin dalle prime pagine emerge una figura aperta alle indagini più ardite, all’esplorazione degli spazi musicali extraeuropei, alla ricerca della verità assoluta del suono anche in una sola nota.

Al riattraversamento continuo del confine tra improvvisazione e composizione. Un messaggio che interpreterei così: non può esserci alcuna vera buona novità senza accettare il rischi dell’imprevisto e della relazione con la differenza.