monetaelettronica

«La moneta del comune» è una espressione volutamente provocatoria. E con intento provocatorio è infatti usata da molti degli autori presenti in un volume dall’omonimo titolo pubblicato mesi fa da DeriveApprodi. Il punto di partenza è che la moneta è uno strumento di mediazione negli scambi economici che riflette, da quei la sua «non neutralità», i rapporti asimmetrici di potere tra le classi sociali. Ma cosa accade quando le dimensione finanziaria e monetaria diventano così pervasive come nel capitalismo contemporaneo? Niente che non si sapesse, eccetto il ruolo centrale della finanza nel regime di accumulazione capitalistica. E quando questo «dispositivo» va in crisi, l’interrogazione sulla moneta diventa teorico e dunque politico.

Se questa è la prima tappa di un lungo percorse, la seconda si confronta con la cosiddetta moneta elettronica, meglio con le criptomonete, termine che il grande pubblico ha imparato a conoscere attraverso le vicende di Bit Coin. Gli autori del libro non sono però interessati a entrare nel grande gioco globale teso a scoprire l’inventore delle Bit Coin. Semmai ne sottolineano i limiti. Non sono neppure interessati a immaginare le criptomonete come un dispositivo necessario a garantire la sicurezza delle transazioni monetarie e a tenere sotto controllo la speculazione finanziario, come fa l’innovatore neoliberista Alec Ross nel libro Il nostro futuro (Feltrinelli).

Ma nel grande casinò del capitalismo, la speculazione è il protagonista principale. Le Bit Coin dovevano impedirla, cosa che non è accaduta (in molti hanno acquistato BitCoin, per poi attendere, quando la domanda cresceva, a rivenderli, guadagnando denaro in «moneta ufficiale»). L’altro limite è l’indeterminatezza del rapporto tra le cripomonete e le monete «ufficiali». Su questo aspetto, gli autori, tutti, dicono che la parola passa alla sperimentazione sociale.

Più rilevante è invece definire il rapporto tra la diffusione della precarietà nei rapporti di lavoro, la distruzione del welfare state e la crescita di una cooperazione sociale produttiva incentrata sul valore d’uso. Occuparsi di «moneta del comune» significa quindi fare i conti con la crisi, la crescita del debito individuale, la sottrazione dei servizi sociali autoprodotti dal potere di ricatto esercitato dal «mercato».

Lo sviluppo di una «moneta del comune» è dunque un atto politico: sviluppo costellato da insidie e rischi. L’insidia di essere fagocitati dal potere costituito – il recupero di una possibilità liberatoria -; i rischi di una marginalità.

Sono questi gli elementi che emergono dal volume, sui quali gli autori invitano a discutere oggi a Milano in un incontro che prenderà il via sabato 10, alle ore 18 nello spazio «Piano Terra» (Via F. Confalonieri 3) organizzato dalla mailing list Effimera.org, lo spazio occupato e autogestito Macao. Un incontro che riproduce quindi una metodologia di lavoro già sperimentata per il volume. La condivisione del tema non significa annullamento delle differenze: anzi queste sono un valore aggiunto. All’incontro sarà proiettato il video Mining My Money. Conversazione con Emanuele Braga e Andrea Fumagalli di Officina Multimediale.