Dopo l’abbandono volontario di Raf Simons alla direzione creativa di Dior (ManiFashion del 31 ottobre), il licenziamento improvviso di Alber Elbaz da Lanvin, dove era direttore creativo da 14 anni, è stato la certificazione di quanto il lavoro creativo dei designer di moda sia sempre più schiavo sia della redditività del marchio sia dell’umoralità del padrone. Il che fa emergere sempre di più l’importanza e l’orgoglio degli indipendenti, cioè di quei designer che, anche in una situazione di controllo assoluto del fashion system da parte dei conglomerati globali e dei Fondi finanziari, riescono a proporre, produrre e distribuire la propria moda senza essere inglobati in sistemi colossali.

Un esempio di come si possa essere famosi e autorevoli, senza soffrire il gigantismo del sistema, è quello di Rey Kawakubo che, nel 1974, ha fondato l’azienda con la sua linea di moda Comme des Garçons, nata già nel 1969, ma è riuscita a mantenere il controllo totale delle sue attività rifiutando di crescere di dimensioni e di fatturato oltre la soglia di guardia che non le avrebbe più permesso il controllo totale. Scegliendo di rimanere un piccolo marchio tra i giganti, con circa 180 milioni di fatturato (compresi i profumi unisex che hanno una grande parte nel totale) Kawakubo è il faro indiscusso della non omologazione creativa della moda e continua a regalare idee anche ad aziende che fatturano svariati miliardi. Un discorso simile andrebbe fatto per Azzedine Alaïa, anche se ha dovuto vendere il suo marchio al gruppo Richemond, pretendendo però di controllare personalmente business e creatività. Non inflazionando né le sue idee né il suo prodotto, oggi si è guadagnato il titolo di «ultimo couturier», osannato e venerato.

Da qui arriva l’orgoglio di essere indipendenti di alcuni creativi di nuova generazione che proseguono il loro cammino nonostante le difficoltà oggettive. Tra gli italiani, si può citare Alessandro Dell’Acqua, che dopo aver venduto il proprio marchio a una grande azienda, ha avuto poi il coraggio di re-intraprendere una strada autonoma e, non riuscendo a ricomprare il marchio, ha fondato No. 21, oggi tra le linee di moda più osservate e con un ottimo riscontro commerciale. Lo stesso si può dire di Massimo Giorgetti, che ha fondato il marchio MSGM, di Andrea Incontri, che ha una propria linea maschile e femminile, e altri ancora.

Tutti e tre sono stati chiamati a disegnare altre linee: Dell’Acqua da Rochas, Giorgetti da Pucci e Incontri per la linea uomo di Tod’s. Lo stesso è successo al tedesco-georgiano Demna Gvasalia che, grazie al successo della sua linea Vetemens, è stato scelto per guidare Balenciaga, e a Jonathan Anderson, a cui è stato affidato Loëwe dopo il successo della sua linea. I nomi citati non sono tutti, ma li rappresentano. L’augurio è che non si sentano dei numeri due se non siedono sui troni dei marchi blasonati. Tanto si sa che, in un modo o nell’altro, su quei troni si rischia di svendere la propria creatività e, poi, di essere detronizzati.

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