Gli avvertimenti non finiscono mai. «La minoranza non va per i fatti suoi, va dove va la maggioranza». Non è Lenin al Tg3, è Matteo Renzi. Preoccupato di difendere il suo disegno di legge costituzionale, che dalla prossima settimana affronterà al senato dubbi e controproposte che arrivano innanzitutto dal Pd. Anzi, preoccupato no: «Forza Italia manterrà gli impegni ed è un bene», dice il presidente del Consiglio. Quanto ai «dissidenti», «il Pd ha delle regole al proprio interno» e dunque la linea che il gruppo del senato deciderà di adottare martedì prossimo dovrà essere quella di tutto il gruppo. Gli risponde Pippo Civati, la sua (piccola) corrente è l’unica a non aver ancora aderito allo slancio dal sapore elettorale del premier, che vuole a tutti i costi il primo sì alla riforma entro la data del voto europeo (25 maggio). «Prima dello statuto del Pd – dice Civati – c’è la Costituzione». E in effetti la «stranezza» di una revisione profonda della Carta imposta dal governo – si tratta, ricordiamo, della trasformazione del senato in una camera non elettiva in abbinata con una legge elettorale ultra maggioritaria per la camera – diventa qualcosa di più e di peggio quando il primo ministro cerca di limitare (nel tempo e nel merito) le possibilità di intervento dei parlamentari. E reagisce male quando lo si accusa di torsione autoritaria.

Da tutte le tv Renzi punta allo stesso bersaglio. La proposta di legge alternativa firmata da Vannino Chiti e da altri senatori della minoranza, non troppo diversa da quella del governo ma diversa nel mantenere l’elettività della camera alta. «Non ha nessuna chance, è buona per essere sventolata qualche giorno sui giornali». Civati, che con i senatori a lui vicini è confluito sulla proposta Chiti, cade nella trappola retorica e sostiene che qualche chance invece ce l’ha: «L’hanno appena sottoscritta 12 senatori ex grillini…». Poi c’è qualche interessato in Forza Italia, qualcuno del Nuovo centrodestra, certo. Ma la sostanza non cambia: la proposta di Chiti e di altri venti senatori democratici iè mportante per quanti voti riuscirà a togliere al disegno di legge del governo. Renzi l’ha capito bene, per questo sposta la sfida su un terreno – chi ha più voti – dove può vincere facile. Ma quando, dopo l’adozione del testo del governo, la proposta sarà trasformata in emendamenti, sul punto dell’elettività del senato la commissione affari costituzionali ballerà. E ballerà anche l’aula, dove a Renzi basta perdere 10 senatori per non avere i numeri necessari per approvare in terza e quarta lettura la legge di revisione costituzionale, altro che referendum.

Certo, il richiamo all’ordine di un segretario che ha i sondaggi in poppa fa sempre il suo effetto nel Pd. E infatti nel ruolo dei guardiani del costituzionalismo renziano si distinguono gli ex oppositori del leader, lettiani, cuperliani e giovani turchi, Tutti del resto convinti, solo dieci mesi fa, che senza cambiare forma di governo la modifica del bicameralismo non sarebbe servita a nulla. Allora seguivano Quagliariello. Qualcuno dei venti firmatari di Chiti già si sfila, ma non tutti. Per questo Renzi deve ancora voltarsi dalla parte di Berlusconi che, conferma, presto o tardi incontrerà. Del resto «le riforme si fanno con tutti», ripete il velocista. Ma non ditelo a Civati che sta cercando di convergere con i forzisti che vogliono conservare il senato elettivo. Anatema: la minoranza non può andare dove vuole. Perché «la direzione del partito e gli elettori delle primarie si sono espressi», ripete il segretario. Ma su che cosa non può dirlo.