Più di mille emendamenti, quasi la metà dei quali proposti dall’interno del «patto del Nazareno». È scaduto ieri il termine per la proposta di modifiche alla legge di riforma costituzionale, la prima commissione della camera deciderà oggi il calendario dei lavori, ben conoscendo il pressing di palazzo Chigi che vorrebbe chiudere a Montecitorio entro gennaio.
Due gli ostacoli più seri per il relatore di osservanza renziana Emanuele Fiano e per la ministra Maria Elena Boschi. Il primo è la minoranza del Pd. Qualche modifica della camera rispetto al testo del senato è scontata, ma il governo è disposto a cedere sulle minuzie (alzare il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica dopo il sesto scrutinio, rendere più facile il ricorso preventivo dei parlamentari alla Consulta sulle leggi elettorali). Ma le proposte non ortodosse del Pd riguardano anche l’articolo 81, il rinvio dell’entrata in vigore a fine legislatura, l’abolizione delle leggi a data certa imposte dal governo al parlamento, l’abolizione del voto di fiducia sulle leggi delega (riferimento alla battaglia odierna sul jobs act), il taglio a 500 dei deputati, il trasferimento alla Consulta delle valutazioni sull’immunità parlamentare e l’introduzione del voto bloccato per i rappresentanti di una regione sul modello Bundesrat.
Anche Forza Italia ha presentnato i suoi emendamenti, ma il secondo ostacolo serio per il governo sono i circa 700 emendamenti presentati da Sel e 5 Stelle, che rovesciano l’impostazione della riforma e che potrebbero portare a una nuova battaglia ostruzionistica. Come fu al senato, quando ci volle uno strappo al regolamento per concludere la prima lettura.