Come nei migliori dei mondi possibili, arte e scienza si incontrano nel lavoro dell’artista Andreco e si alleano per portare consapevolezza sui temi ambientali. Un’arte attivista e resiliente, che l’autore realizza nei luoghi simbolo della crisi climatica utilizzando le risorse presenti sul territorio, per focalizzare l’attenzione su problematiche specifiche e sui processi naturali come possibili soluzioni.

Andreco, come nasce il tuo lavoro e da cosa trae ispirazione?

Come artista visivo traggo ispirazione dalla ricerca scientifica nell’ambito degli impatti generati dall’uomo e delle buone pratiche per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Ho un postdottorato in ingegneria ambientale e per molti anni ho fatto ricerca applicata su questi temi, in particolare sull’utilizzo dei processi naturali per risolvere problemi di inquinamento, come la gestione sostenibile delle risorse, le infrastrutture verdi e la fitodepurazione, di cui parlo anche nelle mie opere. Un’opera poi dipende anche dal contesto e da letture di carattere più umanistico e filosofico, comunque possiamo dire che nei miei progetti convivono arte, scienza, ambiente e movimenti climatici.

I tuoi lavori prevedono diversi tipi di intervento…

Sì, non uso una sola pratica artistica, mi interessa sviluppare dei concetti con tutte le tecniche possibili: murales, regia di performance, sculture, installazioni, mostre in galleria, video. L’idea viene declinata in più prospettive attraverso tanti linguaggi.

Tutto questo rientra nel progetto Climate Art Project?

Climate Art Project è un progetto itinerante su scala globale che si concentra sui cambiamenti climatici, iniziato nel 2015 a Parigi durante la conferenza sul clima. Cerco di andare nei territori più vulnerabili per ispirare una riflessione e contribuire al dibattito globale sull’ambiente. Di solito scelgo dei luoghi caratteristici come Venezia per parlare dell’innalzamento del livello del mare, il Portogallo per le ondate di calore e Delhi per l’inquinamento atmosferico, dato che è la città più inquinata al mondo dal punto di vista delle polveri sottili.

Che tipo di intervento hai fatto a Delhi?

Ho dipinto un murale con al centro un grande albero che rappresenta in maniera simbolica da un parte l’inquinamento e dall’altra la depurazione dell’aria. Per dare ancora più forza al lavoro, per fare la parte che rappresenta l’inquinamento ho utilizzato un inchiostro che si chiama Air ink, realizzato da un’azienda indiana con lo smog dei tubi di scarico delle automobili. Dopo il murale abbiamo fatto una parata lungo le strade di Delhi, che è la parte performativa dei miei progetti: coinvolgendo attivisti di tutte le età, scuole e performer, chiedevamo a gran voce aria e acqua pulite. Inoltre ho realizzato degli arazzi che rappresentano la vegetazione locale più indicata per la depurazione dagli inquinanti, con l’idea che le piante riusciranno a risolvere molti problemi ambientali.

E i tuoi progetti locali?

Climate Art Project è anche il nome dell’associazione che ho fondato a Roma, la mia città, dove sono tornato a vivere dopo tanti anni fuori e con cui organizzo interventi su scala locale, come quello che ci ha portato recentemente nella Riserva Naturale della valle dell’Aniene. Ho realizzato un’installazione all’auditorium Parco della Musica con canapa e felci, la piante capaci di depurare i metalli dai terreni e poi siamo andati a piantarle con un atto pubblico sulle sponde dell’Aniene. Qui, insieme al ministero della salute e al Cnr abbiamo analizzato i terreni per la prima volta, trovando un forte inquinamento da cadmio, mentre le acque del fiume presentano valori di metalli che superano di 10 volte i limiti di legge. Insieme a dei ricercatori abbiamo lanciato un progetto pilota che prevede l’analisi delle piante fitodepuranti stesse nel momento in cui sono state piantate e dopo alcuni mesi, per vedere quanto metallo sono riuscite a prelevare dal terreno e come questo è stato bonificato. È interessante che a questo scopo per la prima volta è stato possibile utilizzare anche la canapa senza principi attivi, perché finalmente legale e ora incredibilmente si vorrebbe rimetterla fuori commercio, nonostante i grandi benefici ambientali di questa pianta.

Le tue opere sono molto impegnate e pragmatiche, credi che l’arte ci salverà?

L’arte non ci salverà, purtroppo. Come non ci salveranno la scienza e la politica. Io credo che l’unica cosa per superare la più grande crisi ambientale mai affrontata dalla specie umana sia agire in maniera congiunta e cambiare radicalmente l’organizzazione del sistema produttivo. È fondamentale che chi lavora nella cultura e nell’arte prenda posizione e contribuisca in maniera attiva al dibattito, senza chiudere gli occhi di fronte al problema, ma riconoscendo le proprie responsabilità.