L’incontro con Claudio Narañjo, di passaggio a Roma, avviene nello studio Ice Badile, a Monteverde Vecchio, dove vive e lavora un gruppo di artisti.

E’ da molto che è in Italia?

Poco meno di un mese. Faccio corsi con gruppi di persone che si interessano a questa mia combinazione di lavoro psicoterapeutico e meditazione buddista, una sintesi che ho fatto tra le vie sufi-cristiana-buddista e dionisiaca, una via della liberazione attraverso la conoscenza. Tengo i corsi nel centro di Jacopo Fo, l’Università Libera di Alcatraz a Casa del Diavolo, in Umbria. Per parteciparvi è necessario prima frequentare un corso del primo livello, di quattro giorni, tenuto non da me, da altre persone in varie parti d’Italia, a Siena, Trieste, Roma. Il corso del secondo livello, con me, dura dieci giorni. Lo faccio da 6-7 anni. Sono una decina di anni che vengo in Italia, all’inizio erano visite più brevi, legate al mondo della gestalt. La prima volta mi ha invitato Barry Simmons, è il formatore degli altri gestaltisti italiani. Dopo mi ha invitato Riccardo Servetto a Siena e poi l’analista transazionale Antonio Ferrara che ha un istituto a Napoli.

E’ nato a Santiago?

No a Valparaiso nel 1922. Ho avuto la buona sorte di scoprire molte cose in poco tempo, quando stavo in Cile, prima di andare in California. Sono stato tra i primi a fare ricerche su alcaloidi come l’hayahuasca, quando ancora era semisconosciuta, poi l’ibogaina e quei derivati delle anfetamine tra i quali il più noto è l’ecstasy: è toccato a me aprire questo capitolo, e tutto nell’arco di un anno e mezzo. Ho fatto molta ricerca, ma dopo essere giunto negli Stati uniti temevo fortemente che potessero rimandarmi in Cile, e quindi ho un po’ sospeso queste ricerche. Ero molto occupato nella mia ricerca esperienziale, l’Istituto Esalen mi ha accolto, avevo molto da imparare, poi ho conosciuto Suzuki, ho cominciato a meditare…in anni più recenti in Brasile mi sono state porte aperte varie porte riguardo a quello che là chiamano il Santo Daime, ovvero l’ayahuasca assunta come sacramento da una chiesa cristiana. Mi hanno autorizzato a guidare le sedute, è un grande piacere perché sento che è una cosa speciale lavorare con gli stati alterati di coscienza.

Si considera uno psicoterapeuta?

Un terapeuta che non fa molta terapia se non come guida di gruppi, riunioni di tribù, piccoli interventi qui e là, mi sento un po’ come l’impresario di un circo, ho molti collaboratori che fanno cose che io facevo prima, come la terapia Gestalt, la terapia corporale, io insegno meditazione e lavoro sulla personalità, una combinazione di autoconoscenza e di cambiamento di atteggiamento, invito le persone ad assegnarsi dei compiti personali. Un po’ come quello che Jodorowsky fa simbolicamente con la sua psicomagia, io lo faccio in forma più ordinaria, nello stile di Gurdjeff.

Direi che la mia specialità è diventata l’insegnare alle persone a lavorare non solo su se stessi ma anche ad aiutare gli altri, imparare ad aiutarsi reciprocamente, in situazioni di gruppo, e creare gruppi di autoguarigione, un sistema di auto-mantenimento, di autocrescita.

Continua a vivere a Berkeley?

La mia casa è là e quello è il luogo dove scrivo. Ho quattro mesi all’anno per scrivere, cerco di finire un libro l’anno e ho già molti libri “completi” in quanto a idee e informazioni, devo solo scriverli. Appena tornerò a Berkeley voglio finire un libro sul mondo, sull’educazione come via d’uscita dai problemi che ci sono. Con la gente come è ora non credo si possa fare molto, ma forse se si educa una generazione a essere più completa si potrà avere un mondo più armonico.

Ho cominciato a fare terapia a Berkeley nel 1971, e fino al ’74 ho lavorato con un gruppo di una novantina di persone, pensavo di iniziare con un piccolo gruppo ma via via è cresciuto molto. Con questo gruppo ci riunivamo una volta alla settimana e alcuni fine settimana…in verità avevo cominciato in Cile dopo una grande esperienza che avevo avuto con il maestro spirituale Ichazo, era uno della “scuola afghana”, la fonte delle conoscenze di Gurdjeff, portatore di un insegnamento sufi in senso molto lato, più precisamente è un cristianesimo asiatico, precristiano, di Babilonia, simboleggiato dalla visita dei re magi a Betlemme. Si parla di un cristianesimo esoterico posto all’inizio della civilizzazione mesopotamica. Ichazo è boliviano, non è molto conosciuto internazionalmente, ma ha avuto un’influenza decisiva nella mia vita, mi ha mandato nel deserto a fare un ritiro, con grandi aspettative da parte mia, e le aspettative si sono realizzate.

Per me è stato come l’attraversamento del Mar Rosso. Ichazo è come Gurdjeff, manipolatore, bugiardo, molto enigmatico. Con lui non mi sono mai sentito in presenza di un maestro. Una volta gli ho chiesto: “come posso diventare il tuo discepolo dal momento che ti sento manipolatore e bugiardo?” e lui: “devi imparare attraverso i risultati, non hai bisogno di avere un grande rispetto per me, devi solo lavorare e lasciarmi lavorare”. A queste condizioni, e con il consiglio di fare questo ritiro nel deserto che sarebbe risultato essere una grande esperienza per me, sono andato dalla California in un luogo vicino a Arika, nel deserto al nord del Cile, vicino alla frontiera col Perù. Io stesso ho costruito lì un luogo per le quaranta persone che erano venute con me dagli Stati Uniti, avevo una grande influenza su di loro. Quelli che stavano ad Esalen quando hanno saputo di questo ritiro volevano venire tutti con me, allora ne ho selezionato un gruppo. Un gruppo molto intenso. In questo percorso di sette mesi per quaranta giorni sono stato da solo nel deserto. Quando sono tornato in città mi sentivo un estraneo in un mondo strano, e ho iniziato una nuova vita, a contatto con un livello di realtà che non conoscevo ma che allo stesso tempo non implicava aver raggiunto un qualcosa di finale, anzi, mi sentivo molto più idiota di prima. Sentirmi parlare mi pareva orribile, è stata una crescita…ho sentito che era come salire sulla vetta del monte Sinai, e dopo la grande rivelazione una discesa ancora più grande….mi pareva di essere stato nel deserto quaranta anni. E’ stato un lento ritorno alla vita. Era il 1970.

Aveva già avuto in precedenza esperienze con Lsd o altre sostanze psichedeliche?

Sì, ma avevo sospeso l’assunzione di ogni sostanza: era una condizione per entrare nel gruppo di Idries Shah, che è stata la mia iniziazione al mondo sufi, e dopo Shah ho conosciuto Ichazo.

L’esperienza nel deserto aveva similitudini con le esperienze psichedeliche?

Era al di là di tutto quello che avevo conosciuto. Avevo avuto grandi esperienze psichedeliche, avevo provato quasi tutto quello che si conosceva all’epoca. Molte di quelle sostanze erano passate per le mie mani già da prima: Lsd l’avevo preso una decina di volte, grandi esperienze, poco tempo dopo essere tornato dal deserto ho provato con una grande dose di Lds ma non mi ha fatto alcun effetto. Il mio stato di coscienza di allora può essere descritto come un immergersi sempre più nell’ordinario, sempre più lontano dal sublime, una “oscura notte dell’anima”, il buio dopo l’illuminazione. Era come se mi fossi innamorato del ruolo del profeta, il sentirsi tanto ispirato, le parole mi uscivano di bocca e tutti prendevano il registratore, ero innamorato di tanta saggezza. Ero come il bambino che vuole essere qualcuno per compiacere la mamma. Avevo avuto una grande soddisfazione ricevendo questo dono spirituale, e mi doveva essere tolto così che potessi imparare a essere vuoto, con le mani vuote.

Questo dono spirituale lo aveva ricevuto nel deserto?

Non proprio, il primo grande dono spirituale mi è venuto con la prima esperienza con l’Lsd, in California. Stavo con un grande uomo, un rabbino, Leo Zeff, qualcosa di magico è accaduto nella trasmissione…era come se stessi nella situazione più privilegiata…lui era la PERSONA del momento, anche se non pubblicava libri. Condividevo con lui le mie scoperte. In seguito è diventato molto conosciuto come il padre segreto della generazione californiana che utilizzava l’Adam….

Tornato dal deserto, la “lunga notte dell’anima” è durata forse cinque anni. Due anni li ho passati in cielo, ero un apprendista guru…nella via spirituale c’è una fase di inflazione postilluminativa: dopo l’illuminazione l’ego si appropria di questa illuminazione e dice: “guarda come sono santo, guarda, sono un bodhisattva…”. Nel deserto ho avuto questa illuminazione e poi l’ho persa. Come dice il Libro tibetano dei morti non si può trattenere la luce pura se si ha ancora del karma da smaltire, dovevo purificarmi, andare oltre l’ego…

E questo ha preso…

Vent’anni. Stavo nel buio, molto poco creativo, poca voglia di vivere, mi sono ammalato a un polmone un guaritore mi ha detto: “la scelta è tua, vuoi vivere o no? Sono valide entrambe le opzioni”. Mi ha reso consapevole della mia situazione… praticavo la via del buddhismo tibetano.. avevo trovato un altro maestro dopo Ichazo, Tarthang Tulku Rinpoche, un tibetano molto importante a Berkeley. La mia pratica era tesa verso il distacco, e in un certo senso avevo ottenuto qualche risultato, ma non la voglia di vivere. Poi molto lentamente attraverso la rinuncia è arrivata una nuova vita, che via via è diventata sempre più “primaverile”. Molti anni fa in Cile mi hanno chiesto: “a che punto sei del tuo sentiero?” e io rispondevo: “non sono più nel deserto ma neppure nella terra promessa; immagino di stare attraversando il Giordano”, ma parecchi anni dopo cominciai a dirmi che questo Giordano forse era un po’ troppo largo…come può essere? Retrospettivamente ho capito che ero già arrivato nella terra promessa, ma come dice la Bibbia la terra promessa non è solo miele e dolcezza e pace in terra, è guerra, esteriormente è come un tempo di conquista, conquista di un territorio che è ancora occupato, un territorio che è dentro il nostro stesso corpo. Quando penso al mio percorso mi viene anche in mente l’immagine di Ulisse che torna a Itaca. Tornato negli Stati Uniti mi sono sentito veramente come esiliato: mi hanno dimenticato, mi hanno rubato tutte le idee, l’enneagramma, gli psichedelici, si sono appropriati di tutto, si sono attribuiti le cose che io ho iniziato…il ritorno mi ha portato una conoscenza più cinica delle persone.

Come stanno in rapporto queste esperienze molto extraquotidiane, il deserto, gli psichedelici…con la ricerca nel lavoro quotidiano…

E’ come Ulisse che quando torna si nasconde nel porcile, un luogo molto umile, il mondo non lo sta trattando bene… ho dovuto imparare l’invisibilità, non pretendere niente. Curiosamente negli Stati Uniti, che è stata la mia residenza dagli anni Sessanta, il paese dove ho fatto il lavoro più creativo, più utile, sono sconosciuto. Ultimamente lavoro maggiormente in Spagna, Italia, Brasile, nel mondo latino.

Nella sua conferenza all’università, alla facoltà di Psicologia, è passato dall’importanza di Nietzsche, Marx e Freud nel pensiero critico occidentale, a sistemi sapienziali come il cristianesimo antico di Babilonia….

Una via mira a trovare il centro di sè stessi, che poi è il centro di tutte le cose, una coscienza suprema nota da sempre a poche persone; l’altra guarda alla trasformazione del mondo. Il mondo è molto malato, è come una pianta con un parassita, come un organismo con un cancro. La saggezza antica non ha mai avuto l’opportunità di governare il mondo: Platone aveva la sua visione del re-saggio, ma si fa sempre più remota la possibilità che possa essere la saggezza a decidere: gli esperti sì, ma non i saggi! Il cancro a livello individuale possiamo chiamarlo l’ego, la nevrosi; a livello sociale direi la mente patriarcale: Penso che all’inizio della storia, al tempo delle glaciazioni, fosse molto duro vivere e così abbiamo imparato a mangiare i grandi animali. Forse il Cromagnon si è mangiato il Neanderthal, ci sono molti crani perforati…credo che l’usanza di mangiare il cervello dell’altro sia iniziata a quel tempo…il primo tradimento dell’amore, che è parte dell’istintività dei mammiferi…siamo diventati animali cattivi. Dopo nel Mediterraneo si è imposto il matriarcato e l’inizio della civilizzazione. Anche se non si dice è proprio quello il vero inizio, la cultura delle coltivazioni, non più solo aggressioni per mangiare. E dopo viene la rivolta patriarcale, la tirannia del gruppo diventa un carcere in sé, e la mente dell’uomo inizia il suo dominio: guerre, schiavitù, viene tutto da lì, e ancor oggi la schiavitù continua a crescere, la schiavitù al mercato, al sistema, a un mondo più fascista, totalitarismo in pelle d’agnello, il governo del mondo è sempre più così…

Come uscirne?

Siamo esseri tricerebrati, non abbiamo solo la ragione ma anche un cuore e una mente istintiva. La civilizzazione patriarcale dall’inizio ha eclissato la parte materna, l’amore non è compatibile, come non è compatibile il capitalismo con il cristianesimo, anche se il papa dice un’altra cosa. La parte istintiva, che nasce col corpo, quella del bambino, i desideri…come Nietzsche mostrava la civilizzazione ha bisogno dello spirito dionisiaco, del ritorno della sacralità del piacere, della fede nelle pulsioni spontanee. Freud è stato l’erede più importante di Nietzsche credo, anche se lui non lo ammette apertamente. Se la speranza sta nel divenire esseri completi, uscire da questa gabbia fatta del dominio dell’intera persona da parte di un’isola posta nella mente, che è la neocorteccia, non vedo altra via che l’educazione. Se un governo saggio vuole fare qualcosa per il mondo deve cominciare con la prevenzione, prima che il male progredisca. Il pacifismo non va tanto lontano in un mondo così violento, il nazionalismo è impotente in un mondo tanto armato, tutti i grandi problemi sono aspetti di un problema primario che io penso sia il problema dell’amore. Il problema patriarcale, i rapporti interni tra padre madre e figli sono viziati da questo dominio del principio paterno, che è legato al principio dell’intelletto, al predominio dell’aggressione sulla coltivazione, della razionalità sull’emozionalità, sulla solidarietà…

Siamo ancora in tempo per un’evoluzione del genere?

E’ come una grande nave che inizia a far naufragio, si devono usare le scialuppe di salvataggio, anche se non si sa per certo se si arriverà a terra. E’ cosa buona in questo paragone che la nave naufraghi, ma sarebbe meglio se le persone sopravvivessero. Un fattore di salvezza lo vedo in Marx quando chiama all’unione del proletariato per salvare il mondo, ma oggi gli oppressi sono tanto impotenti che abbiamo bisogno dell’unione dei ricchi del mondo per sognare come potrebbe essere un’economia compatibile con lo spirito, come costruire un ponte tra economia e valori umani. Ho sentito dire questo a Ginevra, a una riunione della Sepal, la Commissione economica per l’America latina, da un delegato della Banca Mondiale. Io ho parlato dopo di lui, e mi sono molto emozionato nel sentire questo delegato che diceva “la nostra sfida è costruire questo ponte che permetterebbe un’economia umana”. Non so, magari lo diceva solo per diplomazia…non opera in questa direzione la Banca Mondiale, e infatti un altro delegato della Banca Mondiale in quegli stessi giorni chiedeva al ministero dell’educazione cileno di privilegiare un sistema scolastico sul modello Singapore, educazione indirizzata verso la tecnica, l’intelletto…e qualcuno dell’Unesco mi ha detto; “ma questo non è saggio, si è visto che a Cuba i livelli di scolarità e la qualità dell’educazione sono più alti che negli Stati Uniti, e tutto avviene attraverso il rapporto personale e la motivazione, non con computer, audiovisivi e programmi esclusivamente scientifici”. Un clima più umano fa la differenza, un buon rapporto con i professori. Il modello educativo vigente è obsoleto. Se c’è qualche speranza nell’educazione, sta in una rivoluzione totale del concetto di educazione, che deve diventare educazione di esseri umani, non di robot informatici.

Negli Usa c’è un folto gruppo di scienziati, fisici quantistici soprattutto, molti di origine indiana, che sono arrivati alla conclusione che la Materia sia un “prodotto” della Coscienza, e non viceversa. Un paio di volte l’anno pubblicano “Science Whithin Cosciousness”, reperibile anche su Internet…

I biologi di oggi sono in genere materialisti, la coscienza – dicono- è prodotta dal cervello, ma nella fisica si scopre che è vero l’opposto. La fisica mostra che la materia svanisce quando si arriva al livello quantico. Come già diceva il fisico inglese James Jeans 50 anni fa: “l’universo sembra più un grande pensiero che una grande macchina”. La visione della fisica è coerente con l’antica visione buddista, la realtà come maya, illusione, l’universo come un grande sogno e la coscienza al centro di tutto. E’ come una verifica da parte della mente intellettuale di questa esperienza che sembra pazzesca per i materialisti. Ma non si va molto lontano con la fisica, è solo documentazione….

Prima parlava di Gurdjeff…

Sì sono stato molto colpito dai libri di Gurdjeff. Quando avevo meno di 20 anni ho letto in parte I racconti di Belzebù a suo nipote e mi sono sentito toccato dalla presenza di Gurdjeff, non capivo molto di quello che diceva ma era come se mostrasse una carota…a ogni pagina prometteva qualcosa per la pagina successiva, per il prossimo capitolo…non è un libro che si possa lasciare facilmente. Attraverso il suo stile l’ho sentito un po’ come un nonno, che io non ho avuto, non ho conosciuto, un nonno un po’ duro, ma molto saggio. Ho cercato qualcuno come Gurdjeff, e il più prossimo a lui che ho trovato è stato Fritz Perls, il creatore della terapia gestalt. Lui aveva due cose come Gurdjeff: la via del “qui e ora”, dell’attenzione, e il fatto che ti costringeva a confrontarti con te stesso: ti metteva sulla sedia elettrica, ti faceva a pezzi. Stare di fronte a Perls era così, anche solo il suo silenzio ti penetrava e non si poteva mentire, non si poteva restare in una posizione falsa, come un maestro zen…

E anche lui come Idries Shah, Oscar Ichazo e altre guide spirituali era un manipolatore…

Sì, in parte…sono quel tipo di persone che sono andate molto lontano e ritornano per utilizzare la loro personalità, il loro ego, in un mondo in guerra, dove tutti stanno nel proprio ego. E’ come tendere trappole agli intrappolatori. La grande cosa di Gurdjeff era che lui lavorava su se stesso con molta onestà, come Fritz Perls, che io ho conosciuto molto bene, ha avuto una grande influenza su di me. Negli Stati Uniti sono stato considerato uno dei tre successori principali di Perls, e col tempo forse ne sono diventato il principale, quello più fedele al suo mondo interiore, alla sua visione. Nell’ultimo incontro che ho avuto con lui, un anno prima della sua morte, mi ha detto: “solo adesso ho oltrepassato il mio livello schizoide”, aveva coscienza e grande autenticità.

Che atteggiamento ha adesso verso le droghe?

Io mi sono allontanato da Tim Leary tantissimi anni fa perché non approvavo la sua tentazione di diventare l’eroe dei giovani. La sua sfida all’autorità era troppo estrema, credo che avrebbe ottenuto molto di più nell’utilizzazione delle droghe se avesse evitato di irritare il mondo della medicina, il mondo della professionalità, insultandoli tanto. E senza appellarsi a questo “vogliamo droghe senza confini”…Sono stato a una riunione negli Stati Uniti di una quarantina di persone che utilizzavano l’ecstasy prima che questa fosse dichiarata illegale, c’era come un movimento per chiederne la commercializzazione e la libera vendita. C’era uno psichiatra della Casa Bianca, di Reagan, e con lui ero d’accordo che l’ecstasy avrebbe dovuto essere venduta come le anfetamine, dietro presentazione di ricetta medica. Non era chiedere molto, ma nello spirito di Leary doveva essere considerata come l’aspirina. E’ vero che ora l’ecstasy la si può trovare dappertutto, proprio come l’aspirina, ma il fatto che sia fuori legge da una parte significa che il sistema non ne viene toccato, le persone che hanno il potere nelle loro mani infatti non sono coinvolte nel movimento psichedelico, dall’altra chi prende l’ecstasy ha un’esperienza molto legata al contesto: fa una grande differenza prendere una sostanza in un contesto sciamanico, o con una persona che sa come usarla, o con amici con cui non si ha una sufficiente profondità di comunicazione, o la piena libertà di essere se stessi. Il potenziale di queste sostanze non viene utilizzato al meglio. E’ uno spreco usare l’ecstasy in discoteca, alcuni possono anche avere buone esperienze ma il potenziale dell’ecstasy è maggiore, ballare non è il modo migliore di vivere esperienze di intimità comunicativa, di rapporto umano. Per fare un analogia: il fuoco è molto potente se lo si accende in un forno industriale, o in un camino, ma accendere un fuoco sotto un tavolo provoca un incendio. Un certo controllo sarebbe saggio…

Mi piacerebbe far parte di una qualche scuola internazionale che, con la collaborazione di sciamani e altri che ne hanno fatto l’esperienza, preparasse medici, psicologi, guide religiose a utilizzare queste sostanze. La Svizzera ha una politica abbastanza aperta verso le droghe, come l’Olanda, ma la Svizzera non apre le sue porte agli stranieri, c’è una borghesia molto xenofoba.

Ha conosciuto Carlos Castaneda?

Ero il suo migliore amico. L’ho conosciuto prima che scrivesse il suo primo libro. Mi aveva proposto di scriverlo insieme, ma invece io ho scritto The One Quest, qualcosa sulla convergenza delle risorse terapeutiche, spirituali ed educative. Sono stato molto volte attratto dal campo dell’educazione, quella fu la prima volta ed è la prima cosa che ho scritto in inglese, per incarico della Education Policy Research Institute.

Castaneda appariva e spariva dalla mia vita. Per molto tempo, dopo che ero tornato dal deserto di Arika, non l’ho’più visto, poi un giorno è apparso nella mia casa a Berkeley…il giorno prima stavo meditando vicino al torrente che scende dalle montagne, passa sotto la città e scorre nel mio piccolo giardino – quel tipo di meditazione in presenza dell’acqua di cui parlava Castaneda – il giorno prima che apparisse mi sono messo in questo piccolo fiume perché ho una eccessiva sensibilità sulle piante dei piedi, provo molto dolore… quando sono stato in Amazzonia con gli indios, dove ho iniziato ricerche sullo yage, in Colombia, era una grande sofferenza seguirli quando bisognava camminare nel fiume a piedi nudi, sulle pietre, e così quel giorno ho pensato molto a Castaneda perché era una cosa molto fisica…devo educare i miei piedi a stare più in contatto con la terra, a non irrigidirli con il dolore…è una cosa legata anche al percorso dell’energia interna…allora mi sono sentito un po’ come una lumaca…una specie di contemplazione di questo animale…l’ho sempre sentito come un animale sacro, ha la forma della galassia, è ermafrodita, è tutto piedi… un animale di terra, completamente, e mi è apparso molto interessante che Castaneda sia apparso proprio dopo questa esperienza implicitamente totemica, di identificazione con un animale, la sacralità di un animale, e mi sono detto lo voglio fare tutti i giorni questo entrare nell’acqua, stare nell’acqua, e diventare un po’ come la lumaca.

Castaneda aveva con sé il manoscritto di Tales of Power (pubblicato in Italia col titolo L’isola del Tonal) e mi dice: “prima di darlo al mio editore voglio che tu lo veda” me l’ha lasciato sul letto e se ne è andato, aveva qualcosa da fare… sarebbe ritornato la notte. Attraverso la “porticina” per il gatto che avevo installato alcuni giorni prima, è entrato un animale molto particolare, non ne avevo mai visto uno simile, una specia di grande topo molto umano, con delle piccole manine, molto simpatico, era un procione lavatore, un animale ermetico con una grande intelligenza, ho aperto gli occhi e stava lì davanti a me: è entrato dalla porta del gatto e ha rubato il manoscritto di Castaneda. Una mia amica che era lì è riuscita ad afferrare al volo il manoscritto e a riprenderglielo, ma nel “tira e molla” si è strappata la prima pagina, quella con il titolo, tutto il resto si è salvato. Quando Castaneda è tornato gli ho raccontato tutto e lui, ridendo fino alle lacrime: “ah! c’è qualche potere allora in questo mio libro”.

L’ha interessata, stimolata, questo sistema di conoscenza di cui parla Castaneda?

Non direttamente, ma ci ho trovato punti di contatto… soprattutto lo stato che lui incarnava, uno stato ordinario ma pieno di umorismo, ho un grande apprezzamento per questo modo di essere, sembra lo stato dei sufi o dei grandi maestri tibetani…

C’è una annosa polemica sul fatto se Don Juan, lo stregone yaqui di cui scrive Castaneda, sia veramente esistito o no…

Io non posso dubitare che Don Juan sia esistito, perché Castaneda, quando ancora non aveva scritto nessun libro, mi ha proposto di andare con lui a trovare Don Juan, che secondo lui mi aveva invitato ad andare a fargli visita. Castaneda mi disse: “entra nella mia macchina saremo lì in nove ore, a Sonora”, ma io avevo un problema col passaporto, col visto per gli Stati Uniti, era un visto per una sola entrata, e se andavo in Messico non mi facevano più rientrare. Non ho conosciuto Don Juan ma non avrebbe avuto alcun senso da parte di Castaneda inventarlo, quando ancora non era un personaggio famoso, e poi io ero il suo confidente, mi diceva “sei l’unica persona che sento come un compagno di viaggio; non è come nel mondo dell’antropologia, là non mi credono”. Credo che il titolo di questo libro, Tales of Power, dia la risposta all’enigma, se Castaneda sia o no un bugiardo. E’ bugiardo e allo stesso tempo non lo è. Io ho avuto un maestro cinese, iniziato alle quattro grandi scuole del Tibet, che dopo alcuni anni di ritiro a Kalipong, in India, è venuto a vivere a Berkeley. Era un uomo molto strano, aveva un grande acquario nella sua stanza e una immagine di Cristo, e una volta mostrandomi un libro cinese mi ha detto: “questo è il libro più importante che ho scritto, ma non avrebbe senso tradurlo perché non verrebbe capito dalla cultura che c’è qui” – “Qual’è il tema?” – “l’importanza dell’essere superstiziosi”.

Da una indagine fatta non molto tempo fa in Cina, prima di Mao, su quante persone avessero visto un drago nella loro vita, è risultato che era come nel Medioevo con le persone che vedevano il diavolo: molte persone avevano visto un drago, ma non si vede un drago se non si crede nei draghi, e se non si crede nei draghi e non si vedono draghi, si perde qualcosa, credo. Per vivere alcune esperienze si deve avere un punto di riferimento che permetta alla coscienza di aprirsi.

Si parla molto di New Age… è solo un fenomeno commerciale?

No, è degenerato ma non è solo commerciale. C’è un racconto di Nasrudin, un sufi personaggio di molte storielle, su un tale che porta un’anatra alla moglie per farne una zuppa che poi mangiano insieme a un amico, prestandogli grandi attenzioni. Poi arriva un’amico di quel primo amico e danno anche a lui un piatto di zuppa, ma questa volta un po’ annacquata, e quindi arriva l’amico dell’amico dell’amico, e a lui tocca praticamente solo acqua calda, e quando questo chiede: “ma che zuppa è?”, quelli gli rispondono: “è la zuppa della zuppa della zuppa dell’anatra”. Credo che la New Age sia come questa zuppa della zuppa della zuppa. Ma come dicono i sufi non esisterebbe l’oro falso se non esistesse quello vero. Tutte le grandi cose esistono in due versioni, quella autentica e la falsificazione. Nella New Age credo siano presenti le due cose insieme. C’è un movimento di sviluppo della coscienza che è tutt’ora attivo nel mondo, anche se non in forma tanto spettacolare come negli anni Sessanta. Allora era come la luna di miele, poi viene la gravidanza, che è più pesante e non si sa se verrà portata a termine o finirà con un aborto. Ma mentre è in atto questo percorso di trasformazione, il controllo del mondo sta diventando sempre più totalitario, fascista, non so come chiamarlo, è un sistema incompatibile con questa coscienza.

Molti mettono insieme varie cose, il calendario maya, l’esaurimento imminente del petrolio, il progressivo inquinamento del pianeta e pensano che siamo vicino alla fine di un’epoca, di un ciclo…

Siamo in un tempo di agonia della civiltà per come l’abbiamo conosciuta. Questa almeno è la speranza. Anche nell’Islam si dice che la cosa più importante è morire prima di morire. Un mistico tedesco cristiano del medioevo, Angelus Silesius, diceva: “chi non muore prima di morire, quando morirà andrà in putrefazione”.

Si ricorda in genere i sogni?

Molto poco, ma ho avuto un sogno ieri tornando dalla Svizzera, un sogno che continua a tornarmi in mente: avevo due anmali nel sogno, un cane e un procione, e il cane cominciava a diventare irrequieto come se gli si fosse risvegliato l’’istinto alla caccia, poi vedo che si trasforma in qualcosa di più simile a un rettile ed entra nella bocca dell’altro animale, che ora è un cane pastore, il mio cane preferito, un cane molto bello, e gli morde la lingua alla radice, come una castrazione della lingua, è orribile, e sento tanta compassione di questo cane. Inizialmente non ho capito ma il giorno dopo, ieri, per tutto il giorno mi è parso come un messaggio legato al fatto che per tutta la vita sono stato un difensore accanito dell’istintività. La mia bandiera è una bandiera nietzschiana, e terapeutica, è fede nell’autoregolamentazione dell’organismo.

Ho sentito che il sogno mi voleva dire: stai attento, il tuo amore per i serpenti, per l’istinto, deve commisurarsi al pericolo attuale; come se non avessi preso abbastanza sul serio il pericolo del terrorismo, per una mancanza di sufficiente empatia con il dolore di questo cane…il cane per me era come l’amore, il cervello mammifero… nel sogno c’è il rettile istintivo e il cane amoroso, fedele, e l’umano era troppo dalla parte del serpente e quando il serpente era in forma di cane non l’ho fermato, non gli ho messo dei limiti, per proteggere l’altro animale. Questo sogno ha significato ricondurmi alla mia fede nell’equilibrio dei tre cervelli, che è la mia fede di base. A livello politico equivarrebbe a un equilibrio delle tre forme di governo: il governo patriarcale, quello gerarchico – con la saggezza al posto di guida, il re sacerdote, il faraone – e il governo democratico che è il governo tribale, il divino nella voce di tutti e la voce del bambino che è la voce dell’istintività, la voce del desiderio.

Io credo che in una società matriarcale non ci sia sufficiente spazio per l’individuo, anche nel mondo sovietico non c’era spazio per l’individuo, un tradimento dello spirito socialista originario…questo equilibrio tra anarchia e governo propriamente tale è un ritorno alla polis, nella forma di una democrazia partecipativa con un’organizzazione della comunicazione computerizzata per l’organizzazione di unità piccole di governo, al di là degli stati nazionali, un ritorno alle proporzioni del mondo greco, alle polis. Il sogno è come se mi avesse detto di rimanere fedele a questa idea dell’equilibrio tra ragione, emozione e l’istinto.

Stava in Cile durante gli anni del regime di Pinochet?

No, ho lasciato il paese prima, sono andato negli Stati Uniti nel 1965. Mia madre viveva in Cile e io l’andavo a trovare tutti gli anni, per qualche settimana, un mese…subito dopo il colpo di stato di Pinochet ho preso la cittadinanza americana, per poter viaggiare in Cile senza essere in balia del potere cileno, per poter essere indipendente. L’enneagramma di Pinochet? Credo il numero 9, che indica pigrizia in senso interiore, pigrizia spirituale, psicologica, qualcuno che non guarda dentro di sé ma si conforma al sistema. Lui ha obbedito, si è allineato, come un bambino obbediente, non era un violento di cuore, è diventato uno che si è messo al servizio di qualcosa al di là di sé stesso, un burocrate militare. Mi torna in mente un episodio a proposito di Pinochet. Avevo un zio in Cile, con cui avevo un rapporto molto affettuoso ma con poca comunicazione effettiva, solo rare volte mi diceva qualcosa. L’ultima volta che l’ho visto aveva più di 80 anni, si è fermato per strada e mi ha detto in maniera molto seria: “Claudio, non credi sia il caso che preghiamo per coloro che stanno al potere? Per nostra tendenza naturale vorremmo vederli friggere nell’olio, ma forse sarebbe meglio pregare per la loro illuminazione”. Credo che nel mondo questo sia molto importante, come a livello individuale, il tiranno interiore deve rinunciare al potere per diventare un’altra cosa. Nella storia molte civilizzazioni sono morte, ma una vera rinascita non c’è mai stata, nemmeno il Rinascimento lo è stato veramente, è stata una nascita, una fecondazione della cultura greco-romana e giudeo-cristiana. Ora che la civiltà è in agonia, si specchiano il percorso individuale e quello sociale, forse il mondo è costruito con questo isoformismo.

Conosce James Jaynes, il teorico della mente bicamerale?

Sì, mi ha interessato a un certo punto, ma la sua interpretazione dei tempi omerici come tempi in cui c’era meno coscienza non la posso accettare. Io vedo Omero come un illuminato che ne sapeva anche più di noi, ha conosciuto il viaggio per intero, la grande guerra, la liberazione della principessa che è la nostra essenza, il lungo ritorno a casa, la reintegrazione nel mondo, il viaggio completo fino alla saggezza, l’integrazione totale.

Che ne pensa di Robert Monroe, uno dei pionieri del ‘900 nel campo delle “out-of-body experience”?

Ne ho sentito parlare un po’, ho conosciuto persone che hanno avuto esperienze con lui, ma la mia via mi ha portato in altre direzioni. Per un certo periodo della mia vita ho provato di tutto, ero un cercatore con molta sete, ma con il tempo sono diventato un po’ meno curioso. Progredisco ancora, non sono arrivato alla fine del mio cammino, ma è ora è più un aspettare, un andare con il fiume, piuttosto che aprire porte nuove.

A cosa sta lavorando ora?

Sto finendo un libro che vorrei presentare in Italia, un libro sull’educazione. Il primo capitolo dà una visione storica della società patriarcale, il secondo una visione del regno di dio, dell’aldilà in una società sana, come equilibrio interno delle tre forme d’amore, dei tre cervelli. Il terzo è sull’applicazione dell’enneagramma alle patologie sociali per mostrare che la soluzione richiede una visione d’insieme di questo problema base, quello dei tre amori come l’ho presentato all’università alcuni giorni fa. Il resto del libro verte sul contributo nel campo dell’educazione che ho dato con questi programmi che ho sviluppato in Italia e in varie parti nel mondo latino. All’inizio era il tipo di lavoro che avevo fatto a Berkeley: per tre anni era stata una continua improvvisazione, quindi avevo sentito che avevo avuto il mio bambino, come una creazione sociale, e avevo lasciato le persone andare. In California a quell’epoca era molto “seminale”, come una seconda onda dopo il fenomeno beat, ma anonimo, le persone non dicevano apertamente che lavoravano con me, era un gruppo segreto. Avevo scelto di utilizzare la segretezza in parte per aumentare la potenza del lavoro, in parte perchè c’erano cose tibetane, sufi che tradizionalmente non vengono divulgate pubblicamente. E dopo una latenza che ha coinciso anche con il ,periodo della mia navigazione notturna, ho cominciato a lavorare in Spagna e in altri paesi, in Messico, con workshop molto lunghi, un mese l’anno, un programma molto intenso, come stare su una barca dalla quale non si può scendere, non si può sfuggire al processo comunitario, ma con il tempo l’ho concentrato in 10 giorni. E’ come con i computer che diventano sempre più piccoli ma acquistano sempre più potenza; credo che questa può essere la chiave giusta per una riforma dell’educazione.

Cambiare completamente il modo di fare educazione, dare alle persone un’altra visione delle cose, non solo intellettuale, è un’operazione molto costosa, ma invece è possibile organizzare seminari di dieci giorni come complemento alla formazione dei professori, si potrebbero tenere questi corsi nelle scuole e il gruppo degli insegnanti potrebbe allora diventare un gruppo vero, un gruppo anche in senso psicologico. E’ quello che ho fatto a gennaio in Cile con l’appoggio del ministero dell’educazione. E’ stato il mio primo programma in forma ufficiale. L’ultimo giorno del seminario era come nei gruppi di terapia, piangevano, dicevano: “questa è la cosa più importante della mia vita”, e io non me lo aspettavo perché tutte quelle persone erano venute perché convocate in forma molto burocratica, non sapevano di che si trattava, erano persone di una certa età ma tutte persone chiave delle diverse università, i formatori dei formatori. E adesso è la volta del Messico, comincerà a dicembre, senza di me ma con persone che hanno lavorato con me, con l’appoggio del sindacato dei professori, che là nel campo dell’educazione è quasi più potente del governo in questo momento.

Ora torna direttamente a Berkeley?

No, prima passo da Praga per una conferenza e per visitare una comunità spirituale di una sciamana indiana Cherokee molto sofisticata, laureata in psicologia all’istituto Jung. Lei è molto interessata alla piante di potere, vado a visitare il suo gruppo vicino a Praga, farò qualche lavoro sulla coscienza attraverso la musica e la contemplazione. Ero musicista prima di entrare in medicina.

Continua a suonare?

Sì, un po’, il pianoforte.