Sarà in scena stasera, tra le proposte di punta del RomaEuropa Festival, Aliados, sottotitolo: Un’opera del tempo reale – al Palladium, stasera alle 20.30 – musica di Sebastian Rivas, regia di Antoine Gindt e libretto di Esteban Buch. Protagonisti sono Margaret Thatcher e Augusto Pinochet, nell’incontro, avventuro a Londra il 26 marzo del 1999, quando il dittatore cileno è agli arresti domiciliari a Londra con l’accusa di crimini contro l’umanità. Thatcher però gli manifesta la sua solidarietà, a ricordo di un’intesa iniziata ai tempi del golpe in Cile, nel ’73, e consolidata dalla guerra delle isole Malvine, in cui Pinochet si alleò con gli inglesi contro l’Argentina. Esteban, storico argentino, che ha vissuto la dittatura nel suo paese prima di emigrare in Francia, è autore di studi sui nazisti rifugiati in America latina – «una rete di complicità fortissime», ci spiega – grazie ai quali è stato aperto il caso Priebke. Nel libretto compone i dialoghi tra i due con frammenti di interviste, puntando sulla loro memoria difettosa, – lei con l’Alzheimer, lui affetto da demenza vascolare – che li porta a riscrivere la Storia a loro favore. Thatcher dice che grazie a Pinochet il Cile ha conosciuto la democrazia, e Pinochet di fronte alle accuse invoca il complotto. L’opera diviene così riflessione sul processo storico, sulla memoria individuale e collettiva, ma anche su come i media producono falsi passi. Ne parliamo con Buch, al telefono da Parigi.

Cosa la interessava in questo incontro?

Il fatto che si tratta di un evento storico nel quale possiamo individuare una forte connotazione politica. Con quel gesto, Thatcher si è schierata col dittatore qualche giorno dopo il rifiuto – seppure temporaneo – dei giudici inglesi di concedergli la libertà. La loro complicità risale però a molti anni prima, all’82, l’anno della della guerra delle Malvine che li aveva visti alleati contro l’Argentina. La loro labile memoria di anziani produce malintesi che vanno a scapito di una Storia segnata dalla brutalità. In quel momento Pinochet era accusato di genocidio, e loro stanno lì a scambiarsi sorrisi come se nulla fosse. Mi aveva anche colpito il luogo dell’incontro, lo spazio anonimo della casa inglese dove Pinochet è rimasto cinquecento giorni. Nella messinscena abbiamo lavorato su questa triplice temporalità, l’82, il ’99, e il presente. Tre temporalità in cui cerchiamo di far emergere le interazioni storiche. Perché poi non dobbiamo dimenticarci che anche in Argentina durante la guerra delle Malvine c’era un regime criminale, che l’ha utilizzata come l’ultimo tentativo di rifarsi una faccia sul piano nazionale e internazionale. Molti miei amici, ragazzi della mia età sono morti in quella guerra, e il paese intero ha pagato un prezzo molto alto.

Il sottotitolo di «Aliados» è: «Un’opera in tempo reale». Cosa significa?

Abbiamo provato a lavorare sulla natura cinematografica di quanto accade sulla scena. Il «tempo reale» riguarda tre livelli: il primo è il lavoro sull’attualità politica, il mondo come è; il secondo il trattamento informatico del suono, fondato su una scansione temporale che modifica i suoni nel corso della perfomance. Infine c’è il rapporto tra la scena e i cantati e lo schermo video, che lo mostra nello stesso momento in cui li vediamo sul palco. Volevamo rendere visivamente l’idea di contraffazione della memoria da cui siamo partiti. La scommessa del libretto era restituire la dimensione sinistra di di un incontro che davanti alle telecamere di mezzo mondo appare come una commedia. Abbiamo lavorato sull’astrazione, ripercorrendo la storia mediatica della loro alleanza.

Questa riflessione sulla memoria riguarda anche il suo paese, l’Argentina. Il rapporto con la dittatura continua a essere al centro della produzione artistica.

È naturale, un artista, un intellettuale ha il dovere di chiedersi cosa fare con questo passato. In Argentina ci siamo trovati a affrontare in processo lungo, e complesso che non è finito. Videla però è morto in prigione, mentre Pinochet era libero. La gravità dei crimini commessi da uno e dall’altro rimangono nel tempo.

C’è chi dice più storia e meno memoria. Lei da storico cosa ne pensa?

La discussione è complessa e molto attuale. Vedo la storia come uno strumento per lavorare sulla memoria, che è comunque importante nel lavoro di uno storico, ci indica infatti come le cose passate vengono elaborate dalle persone. Tra memoria e storia per me c’è una tensione, nella quale entra anche il pubblico. Ci tengo però a ricordare che Aliados è un’opera e non una pièce di teatro, perciò sulla temporalità del libretto d’opera lavora.