La mattina dopo Torino si scopre impaurita e ferita
A quasi ventiquattro ore dall’eruzione di panico che ha travolto piazza san Carlo, il cuore barocco di Torino, le ricostruzioni appartengono ancora al reame del “mi pare”. Non si sa […]
A quasi ventiquattro ore dall’eruzione di panico che ha travolto piazza san Carlo, il cuore barocco di Torino, le ricostruzioni appartengono ancora al reame del “mi pare”. Non si sa […]
A quasi ventiquattro ore dall’eruzione di panico che ha travolto piazza san Carlo, il cuore barocco di Torino, le ricostruzioni appartengono ancora al reame del “mi pare”.
Non si sa se a scatenare la “psicosi collettiva” sia stato un petardo lanciato in mezzo alla folla, oppure la caduta di una balaustra. Oppure uno scherzo che in un baleno si è trasformato in un uragano.
L’unica cosa certa è che intorno al trentesimo minuto del secondo tempo della finale di coppa, tra i quarantamila tifosi ha cominciato a volteggiare la parola “bomba”, e subito dopo “stanno sparando”.
E’ il momento in cui la folla viene scossa da uno tsunami ed è sconvolta da spasmi che giungono a scuotere il più recondito degli istinti, quello di sopravvivenza. Le vie di fuga, che paradossalmente ostacolano il fuggi fuggi perché ristrette, vengono prese d’assalto e il tappo che si crea fa sì che la folla sbandi da un capo all’altro della piazza.
Calpestando i vetri delle bottiglie vendute da ambulanti, e che ora sono al centro di una polemica politica che travolge gli organizzatori.
Questa mattina, domenica, i vetri e i rifiuti erano ancora a terra, insieme a scarpe e borse: i segni della folla che scappa travolta dalla sua paura, sono gli stessi di Nizza, dove un camion piombò sulla folla.
E mentre i più tornavano nel salotto di Torino per recuperare il recuperabile, poco distante scoppiava lo scontro che ha messo nel mirino l’operato della sindaca, nonché di Prefettura e Questura.
Creando così una netta separazione tra il prima e il dopo, quando di fronte all’erompere della paura la complessa macchina dei soccorsi è riuscita a creare un argine che ha mitigato l’impatto. Una simbiosi composta da personale medico, forze dell’ordine, trasporti pubblici che si sono trasformati in ambulanze, e soprattutto i singoli cittadini che hanno spalancato le porte di casa ai fuggiaschi.
Dal racconto dei testimoni emerge uno scenario che ricorda i bombardamenti della seconda guerra mondiale, quando le vie del centro della città erano percorse da uomini donne che al suono della sirena correvano verso un rifugio
E così il giorno dopo, la città che doveva festeggiare una vittoria sportiva non sa nemmeno come sia finita la partita di calcio: qualcuno, i più, appare sgomento e ammette che la paura è entrata dentro i cuori della cittadinanza da molto tempo.
“Stanno sparando”, ha urlato qualcuno nella folla: parole che danno un’idea precisa della prospettiva simbolica, ormai meta cognitiva, che serpeggia nelle corde profonde di tutti coloro che colgono l’invito di rispondere alla terrore come se nulla fosse.
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