Nel suo ultimo libro La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini (Adelphi, pp. 258, euro 14. Ne ha già scritto Giovanni Giannoli su Alias della domenica il 22 febbraio 2017) Paolo Zellini guarda alla matematica ispirandosi al mito di Ercole che batte Anteo. Il gigante prendeva la sua forza dalla madre terra ma Ercole, sollevandolo in aria ogni volta che cadeva, riuscì a sconfiggerlo. Se la teoria matematica si allontana troppo dalla terra, dalla concretezza dell’uso, perde forza teorica fino a essere sconfitta e diventare paradossale e inaffidabile.

PAOLO ZELLINI È PROFESSORE di analisi numerica ma è soprattutto un raffinato intellettuale, conoscitore del mondo antico e storia del pensiero, non solo matematico. A questa vocazione intellettuale si devono i suoi libri pubblicati da Adelphi, all’inizio su consiglio di Italo Calvino: da Breve storia dell’infinito (1980) in cui si narra come in un romanzo noir, la storia dell’invenzione e degli esiti paradossali dell’infinito in matematica, a La ribellione del numero (1985) in cui si descrive il modo in cui i numeri irrazionali irruppero nella matematica trasformandola per sempre nell’antichità; da Gnomon (1999) che illustra la storia dell’introduzione dello gnomone e le trasformazioni che il nuovo strumento di misura portò nella conoscenza, fino a Numero e Logos (2010) in cui si sostiene che l’origine del concetto di logos non sia il pensiero astratto, ma il contare, raccogliere gli oggetti e categorizzarli.

I libri di Zellini sono sfide di complessità, trasformano in godibili racconti questioni rigorosamente tecniche. Per riuscirci, l’autore convoca i classici da Simon Weil, a Robert Musil, passando per Henry Bergson, gli studiosi medievali, e molti altri, oltre a tutti i teorici della storia e filosofia matematica antichi e moderni, con i suoi tanti riferimenti crea una trama fitta, complicata, delicata ma lineare e chiara.

In questo libro si occupa dell’emergenza del concetto di algoritmo dalla matematica e dai problemi di stabilità e sicurezza che questa scienza ha dovuto superare in particolare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ma le origini da cui prende le mosse il problema per Zellini risalgono all’antichità non solo occidentale, ma anche araba e indiana.

L’INFINITO IN ATTO introdotto da Cantor e Dedekind offriva nuove possibilità alla matematica e all’analisi, ma apriva anche la dolorosa sanguinaria ferita dei paradossi. Come nell’antichità si poneva il problema della radice quadrata di 2 che avrebbe dovuto rappresentare il valore della diagonale di un quadrato di lato 1, così l’infinito in atto produceva strani effetti come l’equivalenza della serie completa dei numeri naturali con una sua parte, per esempio quella dei numeri pari.

La perfezione della matematica è solo degli dèi, suggerisce Zellini. Agli uomini non resta che confrontarsi con le approssimazioni e il concreto succedersi delle istruzioni di un algoritmo per ottenere risultati affidabili in tempo finito.

David Hilbert, un rinomato logico tedesco nel 1926 dichiarava di non voler farsi cacciare dal paradiso dell’infinito in atto che Cantor aveva creato per noi, ma non era così semplice senza far perdere alla matematica la propria affidabilità. Non c’era verso di tutelare le possibilità delle dimostrazioni offerte da questo strumento teorico senza aprire le voragini dell’incertezza che minava i fondamenti stessi dell’aritmetica.

SANARE I FONDAMENTI attraverso la logica risultò un programma fallimentare, ma dalla logica, dopo i primi trent’anni del secolo scorso emerse invece una possibile definizione semi-formale del concetto di algoritmo che sembrava l’unica salvezza possibile rispetto al precipizio dell’insicurezza e allo spettro dell’instabilità della matematica.

La definizione la fornì, fra gli altri, Alan Turing, che nel 1936 inventò la famosa macchina che prese poi il suo nome. Si trattava della più generale ed efficace definizione di algoritmo, nozione che aveva fino ad allora circolato solo informalmente nella pratica matematica.

Un algoritmo era definito da una procedura effettiva calcolabile attraverso la «Macchina di Turing», un dispositivo semplicissimo dotato di un nastro e di una testina di lettura e scrittura capace di eseguire un’operazione elementare per ogni passo leggendo un unico simbolo alla volta, o l’assenza di simboli, governata da una tavola di istruzioni, e senza limiti di tempo e spazio già prestabiliti. L’esecuzione del calcolo poteva, cioè, essere lunga a piacere.

A partire da questa definizione formale, circa dieci anni dopo si progettarono le prime macchine elettroniche a programma memorizzato, comunemente note come computer. Siamo alla nascita del digitale. E siamo anche alla fine della II Guerra Mondiale.

Tornando a Zellini, il libro introduce la necessità dell’algoritmo per la matematica come il suo possibile atterraggio concreto dopo la sbornia teorica esaurita con la prima metà del Novecento. Ma non è così semplice.

L’ALGORITMO E IL CALCOLATORE che ne è figlio possono funzionare solo a patto che i problemi siano ben posti, ma molti problemi reali non lo sono. Inoltre, sebbene in linea di principio alcuni problemi possano essere risolti in teoria, non è detto che la loro soluzione sia effettivamente a portata di mano a causa dell’esplosione esponenziale: l’eccesso di passaggi di calcolo che impediscono di raggiungere il risultato in tempo utile. Questi algoritmi sono inefficienti e inutilizzabili. La crescita dei numeri, anche negli algoritmi efficienti, può rendere instabili i risultati e facilita la propagazione degli errori nel calcolo delle soluzioni.

Possiamo dire che l’algoritmo è una specie di esame di realtà della matematica, come sottolinea il titolo del libro di Zellini gli algoritmi degli uomini’ e sono soggetti a tutti i pericoli, le manchevolezze e le inefficienze delle attività umane.

L’ARRIVO DELLA MATEMATICA dall’iperuranio della realtà ideale dei numeri al concreto dell’algoritmo da cui, novella Gigante Anteo, prende la sua forza, comporta nuovi pericoli e un nuovo statuto epistemologico. La storia della matematica assomiglia ormai a quella delle altre discipline, non più garante della sicurezza e regina dell’affidabilità. Anche su di lei si abbatte l’incertezza, come su ogni altra attività umana. L’algoritmo è forse la porta d’entrata della matematica nell’età adulta che accetta di convivere con le proprie fragilità, e abbandona l’immaginario ideale sulla propria identità.

Dovremmo quindi pensare agli algoritmi, al digitale, ai programmi che stanno dietro alle pratiche di data science e definiscono i metodi per trovare le correlazioni dei Big Data come una rappresentazione tra tante della realtà.

Gli algoritmi della scienza dei dati non hanno lo statuto di superiorità o di ineffabile neutralità che viene loro attribuito. Matematizzare la realtà è possibile, ha dei costi e un trade-off; non offre di per sé nessuna garanzia di una migliore comprensione. Il metodo si valuta caso per caso. Gli algoritmi sono inadeguati proprio come gli esseri umani che li hanno concepiti e realizzati.