Un carabiniere allergico alla marijuana, assai meglio di un segugio, ha scovato – è successo davvero – ciò che la “criminale” pubblicizzava da anni sui social e tramite azioni pubbliche che lei definiva «di disobbedienza civile»: ben 32 piante di marijuana alte mediamente un metro e venti, con fusto di medie dimensioni, interrate in distinti vasi, coltivate amorevolmente sul suo terrazzo in attesa della fioritura. In modo da distribuire le infiorescenze – così afferma la “criminale” – ai malati che ne hanno bisogno.

La droga, sia pur ancora non giunta alla giusta maturazione, emanava il suo olezzo diabolico ovunque, pure nell’abitazione di un vicino dove il carabiniere allergico è arrivato ieri mattina per eseguire un intervento simile. Eppure la malvivente fermata dai carabinieri, è stata regolarmente denunciata, ma poi inspiegabilmente rilasciata. Le piante, naturalmente, sono state sequestrate, ma per il resto è successo ciò che da sempre il leghista Matteo Salvini va ripetendo: per i drogati di cannabis bisogna inasprire le pene, perché altrimenti una volta presi vengono subito rimessi in libertà.

È QUELLO CHE DEVONO aver pensato i militari che, una volta contattata telefonicamente la proprietaria delle piante illegali, l’hanno fermata e denunciata per violazione dell’articolo 73 del T.U, 309/90 (previste pene da sei anni in su). Senza però ottenere dalla procura l’ordine di arresto.

E così Rita Bernardini, della presidenza del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, non è finita in galera come avrebbe dovuto (e dove peraltro avrebbe potuto continuare meglio a vigilare sui diritti dei detenuti), ma è libera, senza alcuna restrizione, sebbene abbia rinunciato all’iniziativa sulle carceri che aveva in programma per il pomeriggio. «Forse è la volta buona – ha scritto ieri mattina su Facebook – Telefonata dei carabinieri: lei è in casa? No, veramente sono sul treno per andare a Parma (laboratorio Spes contra Spem nel carcere), sto fuori 2 giorni… Deve venire qui! Ho fatto appena in tempo a scendere dal treno e ora sono su un taxi verso casa. #cannabis regolamentata! Accesso alle cure!!!».

E INVECE NIENTE, neppure ieri era la volta buona. Come nel 2016, quando il procuratore Pignatone archiviò il procedimento a suo carico aperto dopo il sequestro di 56 piante di marijuana, perché – si disse – con il clima di Roma quella tipologia di pianta coltivata sul terrazzo i non avrebbe mai raggiunto una quantità di Thc illegale. O come quando, sempre nel 2016, durante un congresso dei Radicali Bernardini distribuì cannabis ai malati che ne avevano bisogno ed erano dotati di prescrizione medica ad hoc. Il processo che ne seguì a Siena si concluse con la piena assoluzione ma senza il rinvio della norma alla Corte costituzionale, come richiesto dall’avvocato radicale Giuseppe Rossodivita.

Rita Bernardini però è una disobbediente civile irriformabile, perciò ha protestato formalmente (rincuorando i poveri carabinieri) e ha fatto aggiungere nel verbale di sequestro una dichiarazione: «Esprimo tutto il mio disappunto per la decisione della Procura di Roma di non procedere al mio arresto, come accade a tutti i cittadini che vengono sorpresi a coltivare marijuana. Così si usano due pesi e due misure e la legge finisce per non essere uguale per tutti. La vera disobbedienza civile esige che con ci siano esimenti di tipo politico quando si decide di violare la legge in vigore. Che migliaia di malati non riescano ad accedere ai farmaci cannabinoidi per l’inefficienza dello Stato è semplicemente intollerabile, tanto più che la legge che ne prevede la somministrazione risale al 2007».

BERNARDINI e il suo avvocato, Rossodivita, sperano che «il processo ci sia, per mettere sotto accusa una legge irragionevole e criminogena, che sembra non voler togliere il monopolio illegale del traffico di sostante stupefacenti alle mafie e alla criminalità organizzata». Ed è proprio per questo che probabilmente non ci sarà.