Zaino in spalla, poco meno di 800 km da farsi scarpinando per campi e boschi, da Roma fino alla punta d’Italia, sino a Santa Maria di Leuca. Quattro ragazzi più o meno della stessa età, poco più che ventenni, uno con dieci e passa anni di più sulle spalle, una sola ragazza, di origine Rom. Due guide a indicare il percorso, l’educatrice di comunità Ilaria D’Appollonio e l’escursionista Marco Saverio Loperfido, a dirigere, consigliare e mediare gli inevitabili momenti tensioni. Una troupe a riprendere il viaggio. È materiale da reality, con solo il movimento, il percorso con i suoi incontri e gli imprevedibili incidenti, a renderlo diverso dalle case chiuse spiate dal Fratello o dall’Isola che ospita che cerca di recuperare una fama perduta o appannata: la marcia degli ignoti.

MA SE I NON-FAMOSI in questione vengono tutti dall’universo carcerario, dal carcere dalla comunità o dai domiciliari, se il più maturo è stato scelto proprio perché dietro le sbarre ha passato l’intera giovinezza, essendo entrato in carcere quando aveva l’età dei compagni di viaggio e anche di meno, proprio l’apparente banalità del format moltiplica l’effetto spiazzante, rovescia il cliché pettegolo e guardone come un guanto, trasforma l’accomodante reality in un inquietante bagno nella realtà.
Boez, il programma in dieci puntate che Raitre ha appena finito di trasmettere (ma è disponibile sulla piattaforma di Raiplay), di Roberta Cortella e Paola Pannicelli, con la stessa Cortella anche in veste di regista e guida insieme a Marco Leopardi, ha dimostrato nei fatti come una formula abusata possa con pochi e magistrali tocchi essere non solo rivitalizzata ma anche affrancata dalla sua futilità congenita e trasformata in oro.
Boez è la cronaca registrata di un evento felice. Racconta un viaggio fatto di sorrisi, di ricordi amari e attese dolci, di disperazione controbilanciata e superata dalla voglia di lasciarsela alla spalle, da una boccata di fede regalata proprio da questo improbabile viaggio a piedi. Proprio la felicità che accompagna Maria, Omar, Francesco, Alessandro, Matteo e Kekko anche nei momenti difficili, che spunta anche quando conquistano la fiducia reciproca, e ci vuole un po’, necessaria per raccontarsi storie tragiche, rende l’esperienza dello spettatore drammatica, in equilibrio precario tra speranza e tristezza profondissima. I famosi, quando tornano stanchi dall’Isola, trovano ad aspettarli casa, comodità e riposo. Per questi escursionisti la fine della lunga camminata implica la chiusura di una parentesi di libertà. Li aspetta la galera, con o senza sbarre e secondini. Li aspetta, anche nella migliore e più rosea delle ipotesi, un futuro incerto ma in ogni caso difficile.

CORTELLA E PANNICELLI hanno lavorato rovesciando in tutto la logica del format che hanno scelto di adottare per raccontare cos’è davvero quella galera che a troppi sembra un auspicabile rimedio, l’esercito cieco che si balocca esaltando la «certezza della pena». Il reality, per definizione, crea artificiosamente una sospensione della normalità che mira a far impennare la tensione puntando sulla costrizione della spazio chiuso e sulla competitività tra chi in quello spazio è costretto. Qui la costrizione è la norma, la libertà, esaltata dai panorami quasi sempre a cielo aperto, è l’artificio. La solitudine e la diffidenza sono il pane quotidiano, l’amicizia e il cameratismo che nascono tra i giovani detenuti lungo il cammino sono l’eccezione.
Boez ha detto più cose sul carcere e contro il carcere di un centinaio di convegni. Ma ha anche detto molto, indicando una via opposta, sulla banalità dell’uso che della Tv si fa in Italia.