Le 153 vittime registrate nelle ultime 24 ore rappresentano il numero più basso dall’inizio del lockdown e portano il totale a 31763. I nuovi casi registrati ieri sono 875, cioè più dei 789 della giornata precedente. I casi positivi rilevati finora sono stati 224760. Se il dato dei decessi prosegue nel trend discendente, il numero di casi positivi giornalieri da circa una settimana sembra invece essersi stabilizzato. Gli esperti trattengono il fiato, aspettando di capire se sia un dato passeggero o il segnale che la riapertura del 4 maggio è stata un’imprudenza.

Solo ieri sera la cabina di regia composta da ministero della salute e Istituto superiore di sanità (Iss) ha pubblicato la valutazione del rischio epidemiologico di ogni regione. Era un documento molto atteso: doveva arrivare entro giovedì e su di esso si sarebbero dovute basare le riaperture annunciate dal premier Conte per il 18 maggio. Invece, i dati sul monitoraggio sono giunti a valle delle decisioni, su cui alla fine hanno pesato più i calcoli politici e le pressioni delle imprese che le evidenze scientifiche.

Il monitoraggio doveva prendere in considerazione tre aspetti: l’evoluzione del contagio, la tempestività della sorveglianza e l’impatto su medici e ospedali. Secondo le «pagelle sanitarie» della cabina di regia, il livello di rischio è «basso» (livello 2 su una scala da 1 a 4) in tutte le regioni salvo Lombardia, Molise e Umbria, dove è «moderato» (livello 3 su 4).

Il giudizio negativo su queste regioni dipende da motivi diversi. In Lombardia «rimane elevato il numero di nuovi casi segnalati ogni settimana seppur in diminuzione»: ieri erano 399, 100 più del giorno prima. L’impatto dell’epidemia sulla sanità regionale, inoltre, è valutato come «moderato/alto», visto che quasi un terzo dei posti di terapia intensiva della regione sono occupati da pazienti Covid. Nelle altre due regioni pesa lo scoppio di focolai locali. In Umbria l’indice di trasmissione è tornato a 1,23 «con una ridotta numerosità di casi segnalati e che pertanto non desta una particolare allerta».

Sul resto è buio. Per quanto riguarda la capacità di sorveglianza, ad esempio, la cabina di regia non ha assegnato voti. Eppure è l’aspetto più importante su cui vigilare affinché le regioni sviluppino la capacità di risposta rapida a nuovi focolai: le 3 T di «test, treat and trace» raccomandate dall’Oms.

La cabina di regia si è limitata a annotare che 4 regioni hanno comunicato la data di insorgenza dei sintomi – fondamentale per seguire l’evoluzione dell’epidemia – per meno del 50% dei casi. Si tratta di Liguria, Basilicata, Molise e Sicilia, che secondo l’ultimo rapporto dell’Iss al 7 maggio fornivano questa informazione solo nel 30% dei casi, ma è solo un’ipotesi.

Non sappiamo nemmeno quali regioni riescano a garantire un tampone entro 5 giorni dai sintomi come previsto dal ministero per la fase 2. Anche questo era un parametro da valutare: finora la media nazionale (9 giorni) suggerisce che la maggior parte delle regioni non siano ancora pronte con i tamponi. «La valutazione di questo indicatore opzionale sarà inclusa nella prossima rilevazione settimanale», recita il documento. Nessuna informazione nemmeno sul personale dedicato al contact tracing, un altro degli indicatori previsti.

Dunque, il complesso sistema di 21 indicatori messo a punto dai tecnici fornisce ben poche cifre che non conoscessimo già. Anzi, oggi ne sappiamo addirittura meno di prima sullo stato del nostro sistema sanitario a causa di un piccolo ’giallo’. Ieri sera l’Iss non aveva ancora diffuso il rapporto settimanale che ogni venerdì ha fornito preziosi aggiornamenti su quanto siamo attrezzati per la convivenza col virus: le percentuali delle infezioni negli ospedali e nelle residenze per anziani, i tempi di attesa per i tamponi, la capacità di monitoraggio delle regioni. Il rapporto sarà pubblicato (forse) nella giornata di oggi.

Sembra passato un secolo da quando il paese era sommerso da un profluvio di cifre e attendeva con trepidazione il bollettino serale e gli approfondimenti bisettimanali degli esperti. Ora che sulla base dei dati si sarebbero dovute prendere decisioni che investono la salute e il benessere di tutti, proprio sui numeri si è spenta la luce.