Nella penisola italiana, circondata da oltre 8.300 km di costa, siamo sempre stati abituati a pensare alle spiagge come un bene abbondante. Ma un report presentato ieri da Ispra propone un cambio di prospettiva che ci fa rendere conto della loro scarsità. Andando a calcolare la superficie complessiva anziché la lunghezza, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale ha infatti scoperto che le spiagge italiane sono estese per appena 120 km2. Per fare un paragone, il numero equivale all’area della sola frazione romana di Ostia. Secondo il report, in media le spiagge italiane sono profonde 35 metri e occupano il 41% delle coste, ovvero circa 3.400 km.

I DATI ISPRA, che aggiornano il precedente censimento sulle spiagge del 2020, portano a lanciare l’allarme sulla progressiva scomparsa di questo ambiente fragile, minacciato dall’erosione costiera e dall’innalzamento del mare, ma anche da una gestione poco accurata da parte di chi lo amministra. Al contrario della superficiale mappatura presentata lo scorso ottobre dal governo Meloni, che voleva far passare la spiaggia come una risorsa abbondante (e che difatti è stata contestata dall’Unione europea), il monitoraggio dell’Ispra è stato realizzato sulla base di circa 5.800 poligoni derivati da ortofoto e immagini satellitari ad alta definizione.

Grazie a ciò si è calcolata l’estensione di ogni tipo di spiaggia, da quelle enormi di Rimini alle cosiddette pocket beach incastonate tra le scogliere dell’Asinara o dell’Isola d’Elba, fino persino alle spiaggette che sopravvivono tra porti, lungomari e scogliere artificiali. Sardegna e Sicilia contano sulla maggiore lunghezza di litorali, seguite da Puglia e Toscana; mentre in termini di superficie, la Calabria da sola vale il 20% del totale nazionale. Nel complesso, tra sud e isole maggiori si contano oltre due terzi delle spiagge italiane, mentre Liguria ed Emilia-Romagna hanno l’estensione più ridotta.

Il report di Ispra interviene anche sulla gestione sostenibile delle spiagge e sul contrasto all’erosione costiera e agli effetti del riscaldamento globale. A tal proposito, l’istituto sottolinea il valore dei cumuli di posidonia spiaggiata, una pianta acquatica che può prevenire la sottrazione di sabbia durante le mareggiate. Purtroppo i residui di posidonia vengono spesso rimossi dalla pulizia meccanica dei litorali, effettuata dai concessionari privati e dai comuni per rendere le spiagge più accoglienti per i turisti.

UN ALTRO ASPETTO che favorisce l’erosione costiera è poi la mancanza delle dune naturali, abbattute nei decenni dello sviluppo turistico per fare spazio a stabilimenti balneari, alberghi e ristoranti. Popolate da piante che ne favoriscono la resistenza, le dune sono una barriera naturale contro l’erosione, in quanto assorbono la potenza delle onde e fanno da serbatoio dinamico di sabbia. Per tali motivi, oggi le dune costiere sono un ambiente protetto a livello europeo. Anche se ormai sono una rarità.

Tutto ciò è avvenuto perché, nel nostro paese, le spiagge sono trattate soprattutto come una risorsa economica da sfruttare, anziché per il loro valore ecologico da preservare. Circa il 50% dei litorali è in erosione e le opere di difesa, come le scogliere frangiflutti che in Italia sono estese per oltre 1.300 km, sono pensate soprattutto per la tutela del sistema turistico. Questi lavori non vengono progettati seguendo un approccio olistico, bensì intervengono su interessi economici specifici e locali. Ciò significa per esempio che, quando si costruiscono le scogliere frangiflutti, non si tiene conto che queste strutture possono risolvere l’erosione nel tratto di spiaggia davanti a loro ma la provocheranno nel tratto adiacente, dove prima non c’era. Ancora più pesante è l’impatto dei porti turistici, oltre 450 in tutta Italia, costruiti senza alcuna pianificazione nazionale e colpevoli di avere innescato gravi processi di erosione nei litorali limitrofi.

L’ESISTENZA della spiaggia dipende da fenomeni anche molto lontani come l’apporto di sedimenti dai fiumi, oggi ridotto ai minimi termini per colpa della cementificazione degli argini. Una complessità di cui non si è tenuto conto, e che sta determinando la scomparsa di questo ambiente.