Arriverà al Senato stasera, al più tardi domattina. Con sensibile ritardo, 21 giorni dopo la data fissata per legge e in forma modificata: 219 articoli, ben 34 in più rispetto ai 185 votati dal cdm il 28 ottobre. Non si tratta dunque di un ritocco, ma Draghi ha scelto lo stesso di evitare un secondo passaggio al tavolo del governo. La legge inoltre arriva al Senato senza che i parlamentari la abbiano potuta leggere.

Alcune di queste forzature sono ormai tradizionali, altre sono una novità. Nel complesso la vicenda registra una tensione sempre meno sotterranea tra l’inquilino di palazzo Chigi e la maggioranza che lo sostiene, una traccia chiara della quale era evidente anche nel discorso del premier in occasione della presentazione del portale Ugo La Malfa. Impossibile credere che, esaltando «il coraggio delle riforme» contrapposto al «non governo», cioè «all’incapacità di affrontare i problemi e di dare continuità alla modernizzazione del Paese», il premier avesse lo sguardo rivolto al passato dello storico e non quello appuntato sul presente del capo del governo. L’incubo della palude è qui e ora.

DRAGHI HA EVITATO il nuovo passaggio della legge in cdm proprio per dribblare le massicce pressioni dei partiti. L’unica a protestare apertamente per la forzatura è Giorgia Meloni, che se lo può permettere in quanto unica leader d’opposizione. Ma è facile percepire un malumore che serpeggia anche nella maggioranza. Tra le modifiche introdotte in extremis alla manovra almeno una è applaudita all’unanimità e i partiti se ne contendono anzi il merito: il ritorno al requisito di 58 anni per Opzione Donna, senza più l’innalzamento a 60 previsto dal testo votato in cdm. Ma sugli altri capitoli cardine della manovra il cielo è molto meno limpido.

IL TETTO PER IL SUPERBONUS delle abitazioni monofamiliari resta fissato a 25mila euro annui di Isee. Con un vero e proprio blitz Draghi ha poi imposto una stretta contro le frodi collegate proprio al superbonus, che in un anno hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 850 milioni di euro. Cabina di regia convocata di corsa con invitato il direttore dell’Agenzia delle entrate Ruffini, quindi a passo di carica il cdm che vara il decreto.

L’Agenzia potrà bloccare sia lo sconto in fattura che la cessione di credito entro 30 giorni ove ravvisi «profili di rischio». In più un «prezzario» per frenare la speculazione sui materiali necessari alla ristrutturazione, puntualmente lievitati. I 5S provano a opporsi, temono che il fiore all’occhiello appassisca tra una difficoltà e l’altra. Il ministro Patuanelli tenta una mediazione: emendamento alla legge di bilancio al posto del decreto. Draghi è irremovibile, ricorda la crisi di fiducia nello Stato quando negli anni ’70 si scoprì che i fondi per il Biafra si erano volatilizzati. Il decreto passa. Il tetto di 25mila euro resta. Ma la partita è tutt’altro che chiusa e lo scontro si riproporrà in aula.

Anche sul Reddito di cittadinanza le maglie sono più strette, con l’assegno diminuito di 5 euro al mese dopo il primo no a un lavoro «congruo» (raggio di 80 km o raggiungibilità entro 100 minuti con i mezzi pubblici) e l’obbligo di presentarsi una volta al mese presso un centro per l’impiego. Ai 5S non piace neppure questo e figurarsi poi il benservito ai 2500 navigator ai quali non verrà rinnovato il contratto. Ma lo scontro aspro, qui, è con la Lega decisa ad smantellare il Reddito.

SALVINI, VISIBILMENTE infuriato,ufficialmente «stupito», per non essere stato invitato il giorno prima alla cabina di regia sul Rdc, convoca una conferenza stampa e spara a zero: «Chiederò una cabina di regia anche sui furbetti del reddito. Il décalage di 5 euro al mese non è certo una soluzione. Ci sono miliardi da destinare ad altre voci». Quali? Flat Tax, da portare sino a 100mila euro di reddito, taglio delle tasse, energia pulita, che per il capo della Lega significa ritorno al nucleare, alla faccia del referendum. Emendamenti che promette di presentare lui stesso come primo firmatario e sui quali si aspetta l’appoggio compatto di tutto il centrodestra. Se non è una dichiarazione di guerra, certo ci si avvicina.

INFINE IL CAPITOLO taglio delle tasse. Il governo ha in mente di indirizzarlo sull’Irpef dei redditi più alti e sull’Irap anche se a decidere dovrà essere il parlamento. Qui la frizione sarà con l’ala sinistra della maggioranza. La luna di miele tra il presidente-commissario e i partiti sta per finire.