Digitare su google l’austero nome della reggia neroniana evoca sullo schermo l’intero scibile sacro e, soprattutto, profano: hotel e case di riposo, grossisti di materiale edile, allevamenti di dobermann e perfino trionfali operazioni della Guardia di Finanza. Fino al 2012, sui motori di ricerca l’archeologia cedeva il passo all’horror vacui digitale, restando sul pezzo – quasi per beffa – soltanto con le catastrofiche news sui crolli. L’inversione di rotta iniziò il 25 aprile, quando la responsabilità del monumento tornò all’amministrazione ordinaria della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, dopo sei anni di commissariamento. Passati ventidue mesi, il blog «Il cantiere della Domus Aurea», che racconta con trasparenza le giornate degli archeologi, appare finalmente ben posizionato sul web. I professionisti della soprintendenza hanno deciso di non nascondere nulla, a partire dalle preoccupazioni peggiori.

Potenza degli elementi: se fu l’incendio del 64 d.C. a favorire l’edificazione della Domus, le piogge del ventunesimo secolo potrebbero sbriciolarla. Qualora l’acqua rovesciata dalle abbondanti precipitazioni in corso non fosse rapidamente smaltita, il peso della terra che preme sulle volte neroniane aumenterebbe del 30%, mettendo a rischio le strutture portanti. È la grande bellezza di Roma, inseparabile da un decadente senso di precarietà che va combattuto proprio perché antiestetico. Nel film di Sorrentino, gli occhi languidi di Jep Gambardella, mollemente adagiato in terrazzo sulla sua amaca, godono del lusso di spaziare a volo d’uccello sul Colle Oppio. Eppure, dal ground zero della quotidianità, il capolavoro del folle imperatore non si nota nemmeno da via Labicana.

Il recinto della Domus, scavalcando le pozzanghere, lo raggiungiamo quando i lavori sono ormai sospesi da quattro giorni. Fedora Filippi, la tenace direttrice, è in attesa al termine della periodica riunione di coordinamento generale, fissata ogni martedì.

La Domus è sommersa da un imponente giardino, imbevuto d’acqua in caso di maltempo, che la nasconde gravando sulle sue spalle millenarie. Con il cielo sereno, è la presenza della vegetazione a comportare dei rischi per le strutture?

I nostri architetti del paesaggio, coadiuvati da un agronomo e da un biologo, stanno scrupolosamente mappando le alberature esistenti, al fine di localizzarne i danni. Nessuna alternativa; tocca scegliere: o la Domus, o le piante. Le loro radici penetrano caparbie all’interno del monumento e si insediano tra le murature della volta e le pitture, fino a staccarle. Germogliano in primavera e si nutrono degli stessi pigmenti romani: ingredienti naturali di prima qualità che consentono loro di prosperare. Inoltre, essendo la Domus continuamente umidificata anche d’estate, con il caldo non accusano la siccità. Stiamo per lo più parlando di comunissimi arbusti che, per l’incuria e l’attitudine infestante, sono diventati simili a alberi: allori, ailanti, acacie. Un pino è addirittura piantato a ridosso di un lucernario: con le sue radici, dal diametro di trenta metri, lo sta lentamente scardinando.

Quali norme seguirete per il restauro e il consolidamento?

La scelta fondamentale consiste nel voler rigenerare la funzione architettonica del monumento, privata della sua componente essenziale: i rivestimenti in laterizio, asportati nei secoli in quanto facilmente riutilizzabili. I muri sono costituiti da un nucleo in cementizio e da paramenti in mattoni: togliendoli, non solo si è assottigliato il loro spessore, ma si sono private le volte di un appoggio. Per ragioni quindi strutturali, stiamo ricostituendo i muri così com’erano all’epoca di Nerone, grazie a due fornaci laziali che ci riforniscono di laterizi con caratteristiche identiche a quelli impiegati anticamente. In un secondo momento, riempiamo le lacune, le lesioni e i vuoti mancanti agendo dall’interno. Ovviamente, i visitatori potranno distinguere le sezioni restaurate da quelle originali, sia per la visibilissima differenza tra le due diverse parti, sia per la presenza di didascalie.

Prima del consolidamento, bisogna tuttavia mettere in sicurezza gli affreschi, assicurando la riadesione dello strato pittorico e dell’intonaco al muro retrostante, che spesso deve essere iniettato con calce. Solo dopo un’accurata documentazione grafica delle superfici da risanare, elaboriamo le proposte atte a risarcirle. Una volta approvato, il progetto passa nelle mani del direttore dei lavori, che attiva l’impresa responsabile degli interventi. Al momento abbiamo diversi cantieri aperti, selezionati in base alle urgenze, sia per le murature, che per le pitture. Un caso di studio estremamente complicato, per l’invasività di un pino, è per esempio il cosiddetto ambiente 41, di cui discutiamo diffusamente sul blog.

Lavorare dentro la Domus Aurea, dotata di oltre 150 stanze e 30 mila metri quadrati di affreschi, non è certamente facile. È migliore la situazione all’esterno?

In realtà, finché non avremo alleggerito il volume del parco soprastante, saremo ben lontani da una qualsiasi soluzione efficace. All’inizio bisognerà togliere la vegetazione, dopo la terra, documentando nei dettagli l’intera fase di scavo. In seguito, sarà necessario sostituire all’attuale giardino, alto due o tre metri, uno strato protettivo più basso, fornito di un pacchetto tecnologico che sappia difendere le strutture ricoperte dal clima. I fisici non smettono di sottolineare quale sia il nodo principale della delicata operazione: non possiamo smantellare il giardino senza prendere precauzioni, altrimenti distruggeremmo gli affreschi della reggia. Se sono sopravvissuti intatti, infatti, significa che hanno reagito in modo da compensare le sollecitazioni esterne. Qualora scoperchiassimo ambienti adattatisi nel corso dei secoli a un’umidità del 90%, l’intonaco si priverebbe all’improvviso di acqua, seccandosi e restringendosi fino a staccarsi dalle volte. Ci attende una sfida complessa: rimpiazzare la naturale coperta di terra del Colle Oppio con un’infrastruttura contraddistinta da materiali isolanti e da un adeguato sistema di drenaggio.

A che punto sono i lavori?

Questo mese avvieremo il primo cantiere pilota nel giardino superiore, presso un’area di circa 730 metri quadrati che sovrasta il quartiere occidentale. Testeremo finalmente sul campo, dopo accurate sperimentazioni in vitro, la cura concepita con tanta passione. L’enorme tendone provvisorio appena montato fungerà da filtro, assicurando la tranquillità dovuta per scavare, portare in superficie le strutture murarie e mettere in posa il pacchetto tecnologico predisposto. Sarà quindi il fisico che ci accompagna a monitorare il comportamento del clima negli ambienti sottostanti, che per altro non interessano pitture. Cominceremo a scavare appena smetterà di piovere.

Parlare di una definitiva riapertura della Domus Aurea, considerando le esigenze del complesso, è prematuro. Cosa dobbiamo aspettarci nell’immediato futuro?

Stiamo pensando, in un’ottica ben augurante, di organizzare delle visite contingentate entro la prossima estate, per mostrare ai cittadini e agli appassionati come funziona il nostro cantiere. Vorremmo ribadire anche ai non specialisti che la Domus Aurea continua a vivere come una priorità del patrimonio culturale internazionale, perché ci rendiamo conto che la gente fatica a comprendere quanto sta succedendo. È la stessa linea di chiarezza che stiamo cercando di coltivare con un blog, scritto da noi, che dal prossimo mese sarà tradotto in inglese. Non dimentichiamo, inoltre, che il progetto tiene anche conto delle Terme di Traiano, delimitate dalla stessa terrazza che ingloba la Domus: uno spazio pubblico e verde già nell’antichità. Con il nostro architetto, vorremmo che il parco archeologico del futuro chiarisse con forza ai visitatori la pianta del recinto delle terme, mettendo in risalto la differenza di orientamento con gli edifici neroniani, e soprattutto la presenza, sotto il giardino, della Domus Aurea. Individuarla non è oggi assolutamente facile. Roma è una città un po’ distratta.