Palermo, via Bara all’Olivella. Rinaldo e Orlando sono pronti nelle loro lucenti armature. Garibaldi è già in testa, alla guida dei suoi Mille. Antichi greci dai volti lignei scrutano il mare. Personaggi da farsa aspettano che si affastellino fondali e si prepari la macchina del vento. Immaginiamo così la partenza da Palermo verso Roma dei pupi di Mimmo Cuticchio, magnetico contastorie, attore e regista, uomo di teatro che ha attraversato il mondo e al cui fantastico percorso il Quirinale dedica fino al 3 dicembre la mostra antologica L’Opera dei pupi. Una tradizione in viaggio.

Mostra brillantemente non museografica, allestita nella Palazzina Gregoriana e accompagnata, sala per sala, dalla voce fuoricampo di Cuticchio che trasforma il visitatore in spettatore. Perché, come dice Mimmo «i pupi appesi non sono mummie egizie. Il pupo è una persona viva. Ci guardano e non parlano, ma con loro si può raccontare anche l’epica moderna, Falcone e Borsellino. L’opera dei pupi è un teatro di comunicazione, in cui il pupo è un personaggio che non muore mai. L’attore in carne e ossa interpreta, nasce e muore, il pupo, diventa tutt’al più antico, ma è sempre pronto a raccontare la sua storia. E noi, figli d’arte, che abbiamo conosciuto le regole per costruire i pupi, per farli muovere, ci aggiorniamo e entriamo nella nostra era facendo viaggiare la tradizione».

Settant’anni il prossimo marzo, Cuticchio cresciuto in una famiglia di «opranti», capocomici di compagnie pupare, è uno sperimentatore da quando era un ragazzo, ma è anche un maestro artigiano che non dimentica il valore del lavoro di bottega, la ricchezza del passato, la tradizione del cunto, un patrimonio da cui partire per andare avanti. «Nel secondo dopoguerra – prosegue Mimmo – , l’opera dei pupi era diventata un fenomeno folkloristico per turisti, io pensai che andava salvata, scrivendo nuovi copioni, trovando un nuovo pubblico. Così negli anni Settanta cominciai a raccontare altre storie, a costruire pupi ’di nuova generazione’, a far scendere il frontespizio alla fine degli spettacoli svelando il dietro le quinte, senza cedere al narcisismo dell’esibizione. Un giorno ero con Eduardo, con mia moglie e mio figlio piccolo. Gli chiesi: se mi permette, secondo lei, dovrei continuare a mettere in scena solo le storie di Orlando e Rinaldo, come diceva mio padre, o va bene quello che sto facendo ora? Avevo lavorato a uno spettacolo dedicato a Cagliostro, parlava di massoneria, era una novità. Eduardo mi disse: ’ma tu ci credi a quello che hai fatto?’ E io: Ci credo? Non ci dormo la notte! ’Allora vedi che qualcuno lo hai convinto?’ Una frase che mai dimenticherò. Capii finalmente quello che mi diceva mio padre: ’Se in sala c’è un cristiano o ce ne è cento, tu sempre per uno fai lo spettacolo’. Possibile sia lo stesso? E invece sì, perché prima di tutto devi essere convinto tu di ciò che fai, altrimenti come potrai convincere gli altri?».

La mostra al Quirinale si snoda in cinque stanze e nel giorno della chiusura, il 3 dicembre, ospiterà la presentazione del prezioso libro Alle Armi, Cavalieri! – Le storie dei paladini di Francia raccontate da Mimmo Cuticchio, con illustrazioni di Tania Giordano, nell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio da vent’anni (Donzelli Editore). La mostra parte dal laboratorio, dal bancone di lavoro con i ferri per lavorare la scultura e l’intaglio, con corpi di donna e di uomo, un pupo di scuola palermitana e uno di scuola catanese, pupi di farsa che risalgono al Settecento. La seconda sezione è sulla pittura, con siparietti, fondali, cartelloni tra Ottocento e Novecento con storie di paladini, briganti, religiosi. Ci sono poi le macchine sceniche, i pupi di «nuova generazione», come quelli de La terribile storia di Carlo Gesualdo, principe di Venosa, una tragedia di femminicidio. Nell’ultima sala si torna da dove si è partiti, da Rinaldo e da Orlando e dal ciclo carolingio.

«I pupi hanno una magnifica autorevolezza. Continuo a sperimentarla anche in progetti nuovi, come quello che sto seguendo con Virgilio Sieni a Palermo e che riprendiamo tra fine novembre e inizio dicembre. In tutte le poetiche, pittoriche, musicali, teatrali, non sei tu importante, ma ciò che vuoi comunicare: un pittore dipinge, ma tu guardi il quadro, tu muovi il pupo ed è lui il protagonista».