Dire pressing è poco. Il presidente della repubblica, tornato a incalzare sulla modifica della legge elettorale, arriva a convocare, con la complicità della democratica Anna Finocchiaro, un vertice di maggioranza al Quirinale, con il ministro delle riforme, Gaetano Quagliariello, e quello dei rapporti con il parlamento, Dario Franceschini. L’inedito summit fa balzare sulla sedia i leghisti, che chiedono di essere ascoltati anche loro – «convocazione inaudita, Napolitano deve essere il presidente di tutti», protesta l’autore del Porcellum Roberto Calderoli – e i 5 Stelle: «Ma quando si è visto mai un presidente della repubblica che fa le riunioni con presidente di commissione, ministri e capigruppo maggioranza per il superporcellum?», attacca il deputato grillino Riccardo Nuti. Si arrabbiano i Fratelli d’Italia, ma tuona pure il pidiellino Mario Bianconi: «Siamo tornati alla monarchia assoluta!».
Al vertice oltre ai ministri (Franceschini assicura che non sono state prese in considerazione iniziative del governo che invece l’altro giorno Quagliariello aveva ventilato, perché si tratta di «materia parlamentare») partecipano i capigruppo al senato di Pd, Pdl e Scelta civica, Zanda, Schifani e Susta (che fa appena in tempo, visto che nel pomeriggio si dimette dalla guida del gruppo ex montiano). E appunto la presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro. Anche Sel, con più garbo di grillini e leghisti, obietta che è «a dir poco inconsueto», come dice la presidente dei senatori Loredana De Petris, un vertice al Colle con la sola maggioranza e «poco prima della presentazione dell’ipotesi di lavoro avanzata dai relatori sulla modifica del sistema elettorale». Uno schema che appunto i relatori di Pd e Pdl, Doris Lo Moro e Donato Bruno, presentano nel pomeriggio in commissione per dimostrare la loro buona volontà, spiegando che «il capo dello stato auspica che il nostro lavoro sia celere» e verrà costantemente informato dell’andamento dei lavori.
Il presidente preme perché almeno in senato si appronti una riforma condivisa prima che sia la Corte costituzionale – che il 3 dicembre terrà l’udienza sull’ammissibilità del ricorso presentato da un gruppo di cittadini – a dire la sua sul Porcellum. E il Colle si aspetterebbe una riforma definitiva, non una semplice modifica «di garanzia», nel caso si dovesse tonare alle urne prima che sia compiuto il percorso delle riforme. L’ipotesi è ritenuta infatti tutt’altro che remota, data l’aria tesa che mercoledì ha rischiato di abbattersi anche sulle riforme istituzionali, al cui avanzamento sia Enrico Letta che Napolitano hanno legato la loro «missione».
L’impegno dei relatori nel fare i loro compiti a casa per ora però è lontano dal delineare quel «testo condiviso da una larghissima maggioranza» che ieri auspicava Finocchiaro. Lo «schema di lavoro» parte da un sistema su base proporzionale con premio di maggioranza alla lista o coalizione che raggiunge almeno il 40% sia alla camera che al senato (qui verrebbe attribuito su base non più regionale ma nazionale). In base agli ultimi sondaggi, insomma, significherebbe ancora larghe intese. Il Pd dunque, come viene messo agli atti nell’ipotesi di lavoro, tiene ancora su secondo turno nel caso di mancato raggiungimento della soglia, ma il Pdl non ne vuole sapere e concede solo di scendere al 35, e il partito oltretutto non parla con una voce sola e infatti i lealisti nemici giurati del ministro Quagliariello si agitano anche sulla riforma elettorale, alla vigilia della resa dei conti che andrà in scena oggi nell’ufficio di presidenza. Pd e Pdl divisi anche sulle preferenze.
In attesa della Leopolda al via oggi, Matteo Renzi – che spinge su un sistema maggioritario a doppio turno da approvare anche senza Pdl, e mercoledì si è preso per questo una lavata di capo da parte di Napolitano – lascia che a caldo siano i suoi a dire che lo «schema» di partenza non va e che il Pd non deve arretrare: «La posizione non può cambiare ogni settimana – lamenta il senatore Andrea Marcucci – Lo schema uscito dalla commissione sembra ancora lontano dal configurare un sistema che assicuri governabilità e alternanza». E un’altra senatrice renziana, Rosa Di Giorgi, ribadisce: «Ipotesi di lavoro del tutto insufficiente e non condivisibile. Si tratta di un proporzionale e che, per di più, con un premio che scatta dal 40 per cento, costringe alle ammucchiate».