Viviamo in un’epoca di grande concentrazione economica, dove il capitale, accumulato da un numero ristretto di individui, ha la capacità di ridurre i governi a propri agenti con il fine di alimentare la macchina dello sfruttamento delle persone e del pianeta. Questo sistema, che spesso indossa la maschera bonaria del filantropismo e ama rifarsi il trucco attraverso operazioni di greenwashing, genera crisi economiche, sanitarie, ambientali, politiche.

LA DOMANDA DA PORSI è se i sistemi democratici non abbiano subito un cortocircuito, uno stato di momentanea inconsapevole incoscienza che ha permesso ai grandi attori economici di appropriarsi della nostra terra e della nostra vita. Una domanda a cui Vandana Shiva, ambientalista indiana e presidente di Navdanya International, cerca di rispondere analizzando i modi in cui il capitalismo sta colonizzando, passo dopo passo, il nostro pianeta. E’ proprio a partire dall’analisi delle cause che l’autrice è in grado di indicare le soluzioni che, in parte, già esistono in quanto reazioni spontanee dal basso alla violenta pressione delle multinazionali. Individuare, comprendere e coltivare le alternative è allora dovere di tutti perché il processo di concentrazione delle ricchezze è destinato, per sua natura, a proseguire con il consequenziale aumento delle diseguaglianze.

SECONDO UN RECENTE rapporto di Oxfam, i patrimoni accumulati dal 1% più ricco della popolazione mondiale sono pari a quelli della metà più povera dell’umanità, ovvero 3,6 miliardi di persone. Nel 2010, l’1% era rappresentato da 388 miliardari mentre nel 2017 da appena otto persone. A questo ritmo, nel 2020 una sola persona avrà accumulato la stessa ricchezza della metà più povera del mondo. La crisi del 2008, appare allora non più come un incidente di percorso ma piuttosto come il dispiegamento di una strategia di rigenerazione da parte della macchina del capitale per consolidare il processo di finanziarizzazione dell’economia. Un settore, quello finanziario, che ad oggi rappresenta il 15% del Pil mondiale e che è sotto il controllo di società di investimenti, specializzate nel fare i soldi con i soldi, senza alcun interesse per le ripercussioni sull’economia reale. Una società di investimenti come Vanguard controlla patrimoni per oltre 5 mila miliardi di dollari e detiene azioni delle maggiori società del mondo, da Apple a Microsoft da Facebook ad Amazon. È in base a questa logica, e non in base a quella della concorrenza, che le grandi multinazionali adottano le loro strategie di fusione con il fine di stabilire monopoli e guadagnare fette di mercato sempre più ampie: «Nel mondo dell’un per cento – rileva Vandana Shiva – i governi sono un’estensione del grande capitale, sono i suoi piazzisti».

UNA DELLE STRATEGIE per estendere il controllo del capitale è quella del filantro-capitalismo, una forma di beneficienza tutt’altro che neutra ma piuttosto intrisa di impegno ideologico atto a promuovere politiche economiche neoliberali a livello globale. Il campione del filantro-capitalismo è, nell’analisi della Shiva, Bill Gates che, attraverso la sua fondazione (Bmgf), si è dato una missione civilizzatrice che può essere equiparata, in tutto e per tutto, a una nuova forma di colonialismo. Secondo Global Justice Now, l’operato della Bmgf rischia di esacerbare le diseguaglianze e consolidare il potere delle multinazionali mentre secondo il Financial Times «oggi, con una firma sul suo libretto degli assegni, Gates ha probabilmente il potere di influenzare la vita e il benessere dei suoi simili in una misura che non ha precedenti per un soggetto privato».

GATES, SOSTIENE LA SHIVA, «è papa, re, regina e mercante avventuriero e suoi editti stanno plasmando ogni campo, dalla salute all’istruzione, dall’agricoltura all’economia e alla finanza». Ed è proprio nel settore della produzione del cibo, che la Bmgf appare particolarmente attiva con progetti basati sulla «civilizzazione dei barbari digitali» e sulla diffusione degli Ogm con il fine di rendere l’agricoltura sempre più dipendente dai prodotti chimici e dai combustibili fossili. Il progetto denominato Alleanza per la rivoluzione verde in Africa (Agra), una partnership fra la Rockefeller Foundation e la Bmgf, promette di ripetere, in maniera pedissequa, tutti gli errori commessi dalla prima rivoluzione verde che, secondo i dati della Fao, ha portato alla scomparsa di più del 90% delle varietà agricole e all’estinzione del 75% della diversità genetica vegetale. La rivoluzione verde e l’agricoltura industriale, ci ricorda l’autrice, sono alla base della crisi ecologica in atto che affonda le radici su assunti imposti dalle multinazionali, basati sulla separazione della terra dai nostri corpi e dalle nostre menti e sulla conseguente riduzione della vita a proprietà intellettuale.

PER INVERTIRE UN PROCESSO, che la Shiva definisce di Eco-apartheid, è necessario recuperare gli spazi democratici di cui il capitale si è appropriato attraverso la negazione dell’auto-organizzazione e della non separabilità fra natura e società. Il movimento planetario per la libertà si evolve e cresce dal basso in modo decentrato, auto-organizzato e interconnesso e si basa sulla democrazia economica fondata sulle economie locali. Un processo di localizzazione che predilige l’integrazione globale orizzontale e non verticale. Solo rifiutando i diktat culturali ed economici delle multinazionali si potrà rigenerare la biodiversità nelle nostre fattorie, nei campi, nelle cucine e nei piatti per affrontare la crisi del clima, della salute e porre fine al controllo delle multinazionali sul nostro cibo. Un pianeta di tutti, che torni a basarsi sull’equilibrio fra uomo e natura, e che riscopra, nel rispetto delle diversità e nel rigetto di odio e xenofobia, la strada per uno sviluppo equo e inclusivo per tutte le forme di vita: «Nella democrazia della terra – conclude la Shiva – non ci sono specie o culture sacrificabili. La diversità assicura l’equilibrio; l’equilibrio assicura che nessuna specie, nessuna cultura domini sulle altre. Proprio per questo la vera democrazia, la diversità e il decentramento vanno di pari passo».