Dopo Trento, Milano. L’invasione, pacifica, del Comandante Vasco Rossi, e del suo popolo, prosegue. A Trento, venerdì 20 maggio, nell’area a cantare a squarcia gola le canzoni del Blasco c’erano più persone di quelle che vivono nell’intera città. Ieri a Milano le 80mila persone che sono entrate all’Ippodromo a sentire il concerto hanno prima resistito ad un caldo torrido, poi ad un fortunale con vento e grandine, e quindi all’umidità e altre gocce di pioggia. Il grande lavoro dello staff tecnico non solo ha permesso che il concerto si potesse fare ma salvaguardato l’incolumità delle persone, e dimostrato una volta di più che le capacità nell’organizzazione dei grandi eventi raggiunta nel nostro Paese è davvero elevata, anche se deve fare i conti con il post pandemia e le migliaia di persone che hanno cambiato lavoro.

L’IPPODROMO «La Maura» non è stato in grado di assorbire tutto il popolo di Vasco. Durante il concerto migliaia di persone hanno vissuto via Ippodromo, e le vie attorno. Cantavano e ballavano in strada. Alcune e alcuni hanno cercato di sfondare i varchi d’accesso, altre e altri si sono arrampicati su muretti e pali della segnaletica per vedere e cantare.

Uno show nello show, una fotografia del fatto che Vasco Rossi, al pieno della forma nel festeggiamento dei suoi 70 anni, è di fatto un elemento della cultura pop del nostro Paese. Sul palco il Comandante conferma la scaletta di Trento, apre con la nuova XI Comandamento e chiude, (con 26 brano nel mezzo), tra i fuochi d’artificio, con l’immancabile Albachiara. In mezzo grandi classici e brani degli ultimi anni. Soprattutto un chiaro messaggio: fuck the war. Fanculo la guerra. Il messaggio arriva diretto e senza mezze misure durante l’esecuzione di Sballi ravvicinati del terzo tipo, primo brano del bis di chiusura. Ma già a metà scaletta con C’è chi dice no e Gli Spari Sopra si intuisce che Vasco ha sulla punta della lingua qualcosa da dire. Racconta a tutti di aver fatto la terza dose, mandando di fatto un segnale. Vasco si sa parla poco sul palco, lascia che siano le sue canzoni, una sorta di liturgia atea e distante dal «benpensantismo» tipico italiano, a parlare per lui. Quando però parla non è certo per caso. Il pubblico di Vasco è spettacolo puro (fuori e dentro l’Ippodromo), una rassegna umana che va da bambini di pochi mesi a persone canute e dall’età avanzata.

ALMENO 6 GENERAZIONI pendono dalla sua bocca e quando scattano i classici l’emozione prende il sopravvento. Su Senza Parole è il pubblico a cantare “ehhhhhhh”, e in tanti tanti momenti, Vasco potrebbe anche solo ascoltare, il suo popolo. Spesso lo fa, ci gioca, cerca le prime file, si muove avanti ed indietro, ma anche andando a destra e sinistra. E con Toffee di fatto lascia che sia il suo popolo a prendere la meglio. «Squadra che vince non si cambia», con il Gallo solita «guest star» – aveva annunciato Vasco prima del tour – ma anche «una grande novità: una sezione fiati di tre elementi, tromba, trombone e sax, che renderà ancora più festosa la band».

Vasco è guida di uno spettacolo assolutamente rock, anche, grazie agli arrangiamenti del chitarrista Vince Pastano. La macchina scenica è mossa dalla chitarra di Steff Burns, il basso di Andrea Torresani e della «guest star» Claudio Golinelli, alle tastiere Alberto Rocchetti e Frank Nemola, dalla voce preziosa di Beatrice Antolini che suona anche le percussioni ed il piano, Matt Laug alla batteria, e il sax di Andrea Ferrario, la tromba Tiziano Bianchi, Roberto Solimando al trombone.

Prossima tappa dell’invasione? Imola. Quella stessa Imola, ed il suo autodromo, invasi nel 1998 all’interno della prima edizione dell’Heineken Jammin’ Festival. Probabilmente proprio con quel concerto nel nostro Paese si è imposta la stagione dei mega-festival di «stampo europeo».