Un lungo elenco di industriali e di presidenti di associazioni imprenditoriali. Tutti con Salvini, tutti per «andare alle elezioni e fare in fretta».
Oltre alla autocandidatura di Flavio Briatore come ministro del Turismo – sic – ieri il leader leghista nel suo intervento in aula al Senato ha citato tutta una serie di dichiarazioni di «Casasco, della confederazione piccole imprese, che ha chiesto “certezze, misure coraggiose, andare alle elezioni”; Agnelli Paolo di Confimi industria “subito alle elezioni”; Leopoldo Destro, presidente Assindustria Veneto, “voto subito, no giochini, lo stallo non serve”; Giovanna Ferrara, Unimpresa, “meglio il voto rispetto ad accordicchi improduttivi».
Lunedì invece erano arrivati gli endorsement del presidente di Confindustria Veneto Matteo Zoppas – «una rottura ci voleva, Salvini si è preso questa responsabilità» – e di Lamborghini (figlio). Si tratta in gran parte di imprenditori del Nord che smaniano per la autonomia differenziata chiesta da Zaia e Fontana.
Ma non solo: del Sud sono Angelo Maci, gigante del vino pugliese Due Palme, e Carla Spagnoli, nipote della stilista Luisa.
È lo specchio della saldatura sociale fra imprenditori e Lega, figlia delle promesse di «shock fiscale» iperliberista e regressivo che i colonelli di Salvini hanno anticipato per la «manovra». Sempre che la facciano loro. «Flat tax al 15% per pensionati e lavoratori, saldo e stralcio per le imprese in crisi aziendale, abolizione della Tasi». «Toglieremo il freno a mano allo sviluppo mettendo al centro della manovra le imprese». Messaggi firmati dai due vice ministri all’Economia Massimo Bitonci e Massimo Garavaglia.
Che hanno tramato per un anno intero alle spalle del povero Giovanni Tria. Arrivando a fargli le scarpe.