Politica

La lunga galleria di «traditori» che toglie il sonno a Angelino

La lunga galleria di «traditori» che toglie il sonno a Angelino

Berlusconi Da Dotti a Fini, le stelle oscurate del firmamento di Arcore

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 30 ottobre 2013

Quattro chiacchiere con Bruno Vespa, e Silvio l’Indeciso diventa per incanto Silvio il Drastico: «La legge di stabilità deve cambiare. L’idea di nuove tasse è inaccettabile». E la cacciata dal Senato è un nodo «non aggirabile». Per evitare la conseguente crisi Letta ha però di fronte a sé «un’autostrada»: una norma interpretativa che sancisca la non retroattività della legge Severino. Fantascienza pura.

Le due questioni di vita o morte (del governo) poste dal quasi espulso, però, non hanno affatto il medesimo peso. Qualche indecisione sul tema delle tasse potrebbe essere perdonata. Un voltafaccia sulla decadenza, invece, comporterebbe sentenza senza appello. Perché l’uomo che da vent’anni fa fulcro alla politica italiana è davvero rimasto, nell’intimo, un non politico. Uno che misura tutto sulle categorie private della fedeltà o del tradimento.
In questi due decenni di stelle brillantissime e d’improvviso spente nel firmamento di Silvio ce ne sono state tante. Però solo di fronte a quelli bollati di tradimento personale le porte si sono davvero chiuse. Vittorio Dotti, per esempio, chi se lo ricorda più? Avvocato del dottore, e nel ’94 non c’era trampolino di lancio migliore per buttarsi in politica. Dal palazzo di giustizia di Milano balzò direttamente alla guida del principale gruppo alla Camera. Precipitò in disgrazia dopo che Stefania Ariosto, la teste Omega, pensò bene di cantarsela su segretissimi bisbigli origliati in barca con il fidanzato e il collega Cesarone Previti. L’avv. Dotti esitò a denunciarla. Finì seduta stante nella lista dei reprobi imperdonabili.

Sparita, ma per diversi motivi, anche la pattuglia di teste d’uovo radunata per regalare un po’ di lustro a Forza Italia: Saverio Vertone, l’ex presidente del senato Marcello Pera, il compianto Lucio Colletti. Erano stati capati per fare le foglie di fico. Furono congedati senza rimpianto non appena si illusero di contare qualcosina.
Tra i leader politici di rilievo, uno dei primi a levare le tende fu Clemente Mastella. Abituato a essere trattato come il figlio prediletto del dio Sole nelle ceppaloniche sue terre, sopportava poco la vicinanza col Divino. Levò le tende rumorosamente nel 1998, consentendo col suo spericolato salto a Massimo D’Alema di conquistare la presidenza del consiglio. Però non si macchiò di tradimenti personali, e per lui le porte sono rimaste sempre socchiuse. Come per Umberto Bossi, del resto: il fedifrago del Ribaltone del ’94, il solo alleato considerato poi quasi un amico.

Più spericolato il gioco d’equilibrio del bel Pier. Nel 2006, dopo cinque anni di cattivo vicinato, Silvio allocato a palazzo Chigi, Pier ferdinando nella porta a fianco di Montecitorio, Berlusconi il molesto vicino non lo sopportava più. Solo a nominarlo, l’accusa di «ingratitudine» calava come un maglio. Ma Casini è della vecchia scuola. Fece in modo che la scomunica colpisse i suoi collaboratori, come quel segretario parafulmine, Follini Marco, ormai notato soprattutto per l’incisiva somiglianza con Potter il Maghetto.

E Giulio il secondo Divo? Tanto potente, Tremonti il superministro, da essere paragonato addirittura al mefistofelico Andreotti. Arrivò a un pelo dal più mortale fra i peccati. Sfidò in tutto e per tutto l’autorità del capo, gli si contrappose come pari potenza. Cosa stia facendo oggi lo si ignora. Il posto in fondo all’imbuto infernale, però, spetta di diritto a un altro, a Gianfranco l’Iscariota, a Fini.

Sdoganato, promosso a (quasi) pari, beneficato con cariche e carichette d’ogni tipo ripagò con la pugnalata più venefica, perché solo lui osò sfidare il Sommo pubblicamente, di fronte a decine di allibiti astanti. Nessuno come lui doveva essere cancellato e annientato. Nessuno più di lui è desparaecido, per quante interviste e libri di memoria possa sfornare di qui all’eternità.

Ognuno di questi nomi, ognuna di queste parabole in picchiata, campeggia nei sonni inquieti di Angelino Alfano, il prossimo nella lista. Non c’è da stupirsi se attende il giorno del giudizio e della decisione irrevocabile, quello della decadenza del capo, con una certa ansiosa apprensione…

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