Che ci fa Moni Ovadia con la bandiera rossa davanti alla Borsa? Dà ufficialmente il via alla campagna elettorale per le europee della lista “Un’altra Europa con Tsipras”. Tutti sotto il dito medio di piazza Affari a Milano. E non poteva essere diversamente: è qui che si comincia a ricostruire un continente strangolato dalla finanza e dall’austerità.

Diciamoci la verità è dura. Anzi durissima. Il moloch finanziario che si staglia davanti a qualche centinaio di coraggiosi venuti ad ascoltare Barbara Spinelli, Marco Revelli e gli altri candidati, è proprio lì. Guarda tutti dall’alto, potente e indifferente. Fa sentire la piazza molto piccola e troppo poco piena, anche se col passare dei minuti le persone arrivano sempre più numerose. C’è tutto il tempo per essere molto seri come si conviene quando ci si appresta a una lotta difficile, ma anche per riderci sopra e ballare il sirtaki in versione disco. D’altronde l’alternativa non c’è, o meglio c’è solo questa. Altrimenti non resta che assistere impotenti al duello mediatico tra Renzi e Grillo, il primo che promette di dare battaglia ma poi si genuflette ai diktat di questa Europa, il secondo che vorrebbe farla finita con l’Europa. Dunque o Tsipras o starsene a casa, rassegnati e sconfitti.

Ma cos’è Tsipras? E’ la domanda inquietante che fanno anche tanti ex elettori di sinistra. “Questa lista è l’unica vera novità di queste elezioni – spiega Marco Revelli, già garante e ora speaker ufficiale della campagna elettorale – Siamo convinti che la vera battaglia si gioca in Europa, non in Italia. Questo governo dice di voler battere i pugni sul tavolo a Berlino ma poi batte i tacchi e finisce per spendere il suo attivismo in un bricolage infinito nei meandri dei conti dello stato”. E ancora: “Siamo trasnazionali, il nostro gruppo in Europa vale tra il 15 e il 20%, non vogliamo fare testimonianza, abbiamo una vocazione maggioritaria, vogliamo pesare, fare alleanze, cambiare equilibri”. Barbara Spinelli prova a spiegare perché la lista ha il nome di un greco. “In Grecia abbiamo visto quanto sta male l’Europa e quanto è di nuovo divisa, come se fosse colpita da un guerra, dalle armi della finanza, precipita di nuovo nei nazionalismi, come prima della Grande guerra. Quando Renzi dice che è tutta colpa delle burocrazie europee, noi ci arrabbiamo. E’ colpa dei governi che hanno usato la Grecia come una cavia e siglano patti come il fiscal compact”.
Giustissimo. Ma allora perché la piazza non è straripante? Qui solo tre anni fa tutti erano impazziti per Pisapia. Perché adesso invece si lotta per superare la soglia del 4% e tocca fare ragionamenti contorti della serie “meno votano gli altri più noi in percentuale saliamo”? Prova a spiegarlo il capolista nel nord ovest Curzio Maltese: “Se in Italia l’informazione fosse normale avremmo anche qui il 15%. Siamo gli unici con un vero progetto alternativo all’austerity. Ma sui nostri media si dibatte se Renzi deve o no giocare la partita del cuore. Oppure della sinistra del Pd che sembra bolscevica perché sul jobs act spunta 5 rinnovi di contratto precario al posto di 8”.
Le altre ragioni per cui è così difficile bucare il silenzio riguardano noi, gli ultimi disastrosi anni della sinistra italiana, e lo sappiamo fin troppo bene. Ma non è questo il momento di rigirare il coltello nella piaga. Ci sarà tempo dopo il 25 maggio, magari con un risultato utile in tasca e la sensazione che abbiamo davvero ricominciato tutto daccapo.