«Trionfo dei riformisti», titola Neues Deutschland, il quotidiano del partito. L’enfasi forse è eccessiva, ma il significato politico del terzo congresso della Linke è colto in pieno: i delegati hanno premiato le tesi dell’ala moderata e pragmatica, bocciando Oskar Lafontaine. Dopo ore di intenso dibattito, nella notte fra sabato e domenica è stato licenziato il testo definitivo del programma elettorale con il quale la formazione social-comunista si presenterà alle urne per il rinnovo della Camera bassa tedesca (Bundestag) il prossimo 22 settembre.

L’attenzione era tutta per gli emendamenti dalle correnti affini all’ex ministro socialdemocratico: se approvati, avrebbero impegnato la Linke a sostenere la possibilità di un’uscita controllata dall’euro e di un ritorno al sistema monetario europeo in vigore fino al 1993. Ma la grande maggioranza dei partecipanti alle assisi di Dresda li ha respinti, accogliendo il testo nella formulazione proposta dalla direzione del partito: «Anche se l’edificio dell’Unione monetaria europea presenta molti errori, la Linke non è favorevole alla fine dell’euro».

Consapevole dei rapporti di forza a lui sfavorevoli, Lafontaine stesso ha deciso di non calcare la mano, evitando di drammatizzare un dibattito che avrebbe potuto diventare lacerante. A pochi mesi dal voto, per la Linke è vitale dare prova di unità interna. E così, il co-fondatore del partito, che attualmente ricopre un incarico di scarso rilievo (è capogruppo al Landtag della sua piccola regione, il Saar), ha deciso di non intervenire di fronte alla platea.

Un profilo basso mantenuto anche dall’altra dirigente più in vista del settore radicale, la brillante 44enne Sahra Wagenknecht. Negli interventi dei difensori della linea pro-euro è ritornato spesso un argomento-chiave: non possiamo mettere i bastoni fra le ruote a una forza come Siryza, il partito-fratello greco che lotta per sconfiggere l’austerità ma anche per mantenere Atene nell’Ue e nella moneta unica.

Contro la troika, ma non contro l’euro né tantomeno contro l’Ue: questo il messaggio del congresso di Dresda. Che si è chiuso non solo sulle note dell’Internazionale, come da tradizione, ma anche su quelle di Grândola vila morena, la canzone-icona della rivoluzione dei garofani del 1974 e oggi inno dei movimenti portoghesi (e non solo) che resistono all’austerità neoliberista imposta da Berlino e Bruxelles.
Soddisfazione e ottimismo nei commenti del giorno dopo: le polemiche fra le correnti sono (almeno fino al giorno delle elezioni) messe da parte. Tutti concordano, nella Linke, con le parole pronunciate dalla tribuna di Dresda dallo storico leader Gregor Gysi, l’uomo che dopo la caduta del muro traghettò con successo il Partito comunista della Germania est nel sistema politico della Repubblica federale e che oggi continua a essere il principale trascinatore nelle contese elettorali: «l’obiettivo è un risultato a due cifre».

Un risultato che in ogni caso, però, non potrà essere messo a disposizione di una coalizione progressista. I socialdemocratici della Spd e i Verdi hanno ribadito la loro contrarietà ad allearsi con i social-comunisti, nonostante alcune indiscutibili affinità programmatiche. Come, ad esempio: l’aumento delle aliquote fiscali più alte, l’introduzione di una tassa patrimoniale, il salario minimo per legge, investimenti pubblici per rilanciare l’economia. Ma pesano di più, purtroppo per i tedeschi e per il resto degli europei, vecchi tabù e radicate diffidenze fra le diverse sinistre. E la cancelliera Angela Merkel ringrazia.