Per la Commissione è importante che dal Consiglio europeo, che si conclude oggi a Bruxelles, venga almeno «un segnale positivo» sul Green Deal presentato mercoledì dalla presidente Ursula von der Leyen, con l’obiettivo di fare della Ue la prima economia mondiale carbon free nel 2050. La strada è in salita, in un Consiglio che ha sul tavolo delle discussioni il quadro del bilancio pluriennale 2021-27, legato evidentemente alla realizzazione del Patto Verde.

Sul bilancio non ci sarà un accordo oggi e probabilmente verrà convocato un vertice ad hoc a febbraio 2020: la proposta al ribasso della Finlandia, che ha la presidenza a rotazione fino a fine anno, è troppo al ribasso, ma c’è un gruppo di paesi (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Austria) che ritiene che l’ambizione della Commissione – 1,114% del pil (già in leggero calo rispetto all’1,136% attuale) contro l’1,08% della Finlandia – sia esagerata, mentre l’Europarlamento chiede di arrivare all’1,3, il tutto per assicurare di rispettare l’impegno di destinare il 25% del budget alla transizione climatica (il triplo di oggi).

A gennaio verranno precisati i contorni del Fondo di transizione energetica, altro vespaio per quanto riguarda i finanziamenti. Per il momento, la tensione è forte. Sullo sfondo, c’è il timore che delle decisioni troppo drastiche e affrettate scatenino un’ondata di proteste stile gilet gialli in tutta Europa. Per questo, Ursula von der Leyen ha insistito nel Green Deal sul Meccanismo di Transizione Giusta, che «non deve lasciare nessuno indietro». Sono i 100 miliardi l’anno promessi, tra co-finanziamento degli Stati e risorse dal Fondo di sviluppo regionale e dal Fondo sociale, gonfiate dall’effetto leva. La corsa tra chi vuole beneficiare di questa linea di finanziamenti e chi frena perché vuole ridurre i contributi è andata in scena ieri all’apertura del Consiglio europeo.

David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, afferma che «il Green Deal ha bisogno di un fondo per la Giusta Transizione che ribilanciare gli sforzi che tutti i paesi dovranno fare per decarbonare l’economia». Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, non ancora convinti sul Green Deal, battono cassa. Il primo ministro Mateusz Morawiecki avverte: «Bisogna tenere presente il punto di partenza della Polonia», economia dipendente dal carbone e con un’edilizia obsoleta.

L’ungherese Viktor Orban minaccia: «Non dobbiamo permettere che la burocrazia di Bruxelles faccia pagare i paesi poveri per la lotta al cambiamento climatico». Giuseppe Conte si inserisce: l’Italia sostiene il Green Deal, i fondi della Giusta Transizione devono anche andare all’industria (Ilva) e permettere la flessibilizzazione del Fiscal Compact. Angela Merkel rassicura: «la Germania si è impegnata per la neutralità carbone nel 2050, oggi discutiamo come tutti gli stati membri possano fare altrettanto». Emmanuel Macron gioca a fondo la carta dell’energia nucleare, che «può essere parte del mix energetico».

Frans Timmermans, il vice-presidente della Commissione incaricato del Green Deal, cammina sulle uova: «sul lungo termine, per il carbone e il nucleare non c’è futuro, non si può dire che l’energia nucleare sia sostenibile ma si può dire che è senza emissioni di Co2». Il lussemburghese Bettel è drastico: «No al nucleare con i miei soldi». Timmermans parla di questioni pratiche: «per le neutralità carbone sono necessari 260-300 miliardi l’anno, è impossibile precisare quanto verrà da finanziamenti pubblici. La Commissione insiste: 300 miliardi sembrano tanti, ma il «costo della non azione» è più alto: perdita di competitività per aumento delle temperature, disastri naturali, crisi sanitarie (e anche 660mila richieste addizionali di asilo nella Ue).