Salvo Barrano è il presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi. Mattia Sullini, coworker, è il coordinatore di un FabLab e lavora a Firenze. Anna Soru è una ricercatrice freelance e coordina le attività dell’Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato di Milano. Sono lavoratori e lavoratrici autonome, formati e specializzati, pienamente inseriti nell’economia dei servizi immateriali, della condivisione, della formazione e della ricerca. Hanno tra i trenta e i quarantanni e rappresentano un segmento del quinto stato, cioè della società operosa composta da lavoratori indipendenti, anche di tipo professionale, che dovrebbero trainare un’economia basata sull’innovazione sociale. Il decreto sul lavoro licenziato mercoledì dal governo Letta ha tracciato una linea di confine molto precisa: gli under 29, nati dopo il 1983, che non sono diplomati, oppure sono disoccupati da almeno sei mesi o hanno una famiglia a carico, potranno godere di 650 euro al mese per due anni. Chi invece, come loro, è diplomato, laureato o specializzato è del tutto escluso, praticamente cancellato.

«L’unica cosa positiva è che il governo ha trovato delle risorse – afferma Salvo Barrano, 37 anni, padre di una figlia, attualmente impegnato in un’indagine archeologica in un cantiere dell’aeronautica militare – Purtroppo è triste il modo in cui hanno deciso di spendere queste risorse che ricorda le vecchie politiche anni Ottanta tra l’elemosina e l’assistenzialismo. A me sembra che anche questo governo, non diversamente da quelli precedenti, non abbia capito la società attuale. Non l’ha capita, perchè non la conosce. Siamo in una società di servizi, che richiede formazione, nuove professionalità e innovazione. Avremmo bisogno di meccanismi che premino la voglia di crescere e invece si discrimina chi ha un titolo di studio da chi è in una situazione di effettivo disagio». Quella di Barrano non è una recriminazione, né un vittimismo. «Sia chiaro – precisa subito – io lavoro felicemente da freelance a partita Iva da più di dieci anni. Non mi piace essere inchiodato a fare lo stesso lavoro per tutta la vita. Ma non posso non vedere, attorno a me, milioni di donne tra i trenta e e i cinquant’anni, magari anche madri, che solo per il fatto di avere più di 29 anni vengono tagliate fuori da queste misure di sostegno. L’alternativa alla precarietà in cui viviamo da 20 anni è stimolare l’indipendenza e l’auto-organizzazione delle persone attraverso l’incentivo alle idee, la costituzione di imprese e società miste».

Mattia Sullini di anni ne ha 36 e lavora sull’implementazione delle nuove tecnologie. Coordina il Cowork Combo, affiliato alla rete CoWo, e con il suo FabLab partecipa al movimento dei «makers», cioè di coloro che lavorano al recupero del lavoro artigiano e digitale in maniera condivisa. Per lui la formazione del cittadino avviene anche attraverso il mutualismo e l’operare materialmente insieme. «Purtroppo questo decreto conferma le più fosche previsioni – afferma – le istituzioni dimenticano la società civile e i movimenti che la stanno caratterizzando. Non voglio passare per vittimista, la responsabilità è anche nostra che non abbiamo cercato una rappresentanza o un interlocutore capace di recepire le nostre istanze. In Italia esiste più di una generazione ormai formata per operare in un sistema di aziende o enti che non esistono più. Oggi ci ritroviamo sul mercato senza una narrazione o coscienza di noi stessi». È questo disinvestimento sull’economia della conoscenza, un tempo assai frequentata dagli interventi e dalla retorica governativa, a colpirlo di più. «Tutti i parametri di questo decreto sono perversamente concepiti per escluderci. Il problema non è solo quello dei cervelli che fuggono ma anche quello dei cervelli che non vengono utilizzati. In fondo, è stato Monti il primo a considerarci una generazione perduta, oggi si continua l’opera».

Anna Soru solleva un altro aspetto. Il governo ha deciso di riformare solo la durata dei contratti a termine senza intervenire sull’aspetto più grave della riforma Fornero: l’aumento dei contributi previdenziali dal 28% al 33% per tutti gli autonomi iscritti alla gestione Separata Inps. «Se avessero deciso di cambiare questa norma per noi fondamentale avrebbero dovuto cercare coperture che non hanno – afferma – Aumentare i contributi e le tasse è una costante di tutti i governi, mai che rispondessero ai nostri bisogni, mai che ci garantissero delle tutele». Per Anna Soru questa decisione è ispirato da una ben precisa idea di economia manifatturiera: stanzia 5 miliardi di euro per l’acquisto di macchinari e nulla per l’assunzione di lavoratori con competenze che aiutino queste imprese a comunicare meglio o a vendere i prodotti sui mercati esteri. Per Anna Soru in Italia c’è bisogno di una rivoluzione culturale sul lavoro. Anche per questo lunedì Acta presenterà una proposta a sostegno degli investimenti in capitale umano e servizi immateriali e a favore dei lavoratori che operano in questi settori. Interventi fondamentali per non farli scomparire del tutto, schiacciati dal fisco e dall’Inps.