Che si voglia o no, le piante sono sempre presenti in ogni storia che ha come «teatro» la Terra. Ciò «è semplicemente una conseguenza del loro enorme numero e del loro essere la fonte della vita di questo pianeta; un dato incontestabile».

DA QUI PARTE IL PENSIERO di Stefano Mancuso per il suo ultimo libro La pianta del mondo. «Noi animali rappresentiamo soltanto un misero 0,3% della biomassa mentre le piante l’85%», ricorda lo scienziato di fama internazionale e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze. In un modo o nell’altro le piante, fa presente nel libro, sono le protagoniste: dalla vita su questo pianeta alla voce di un violino, dal futuro delle città alla risoluzione di crimini efferati.

NELLA MAGGIOR PARTE dei casi di queste storie si è persa la memoria, altri invece hanno avuto un destino diverso perché legati a persone o avvenimenti che hanno colpito l’immaginazione dell’uomo. Stefano Mancuso ne racconta molti nelle oltre 180 pagine del libro suddiviso in otto capitoli: la libertà, le città, il sottosuolo, la musica, il tempo, la conoscenza, il crimine e la luna.

RACCONTA, PER ESEMPIO, la storia degli alberi della libertà che erano diventati dei simboli durante la Rivoluzione francese. Ne furono messi a dimora decine di migliaia ovunque, ma una volta terminata furono abbattuti e ora ne sono rimasti pochi esemplari. Un albero della libertà è possibile ammirarlo in Calabria piantato nel Settecento in occasione della rivoluzione napoletana. Oppure di quando nel 1935, per incastrare il rapinatore e assassino del figlio del celebre aviatore Charles Lindbergh, una corte giudiziaria americana utilizzò per la prima volta un legno come prova, sancendo di fatto la nascita della botanica forense.

E LA STORIA dell’astronauta Stuart Roosa che porto con sé nella missione Apollo 14, nel 1971, cinquecento semi per degli esperimenti. Al ritorno sulla Terra furono messi a dimora per vedere se sarebbero cresciuti in modo diverso. Per molto tempo, racconta Mancuso, non se ne seppe più nulla fino a quando la vicenda non tornò a galla nel 1996 grazie a un archivista della Nasa, Dave Williams, che riuscì a localizzare una settantina di alberi nati da quei semi. I dati di questi alberi (Moon Trees) sono disponibili sul sito della Nasa (https://nssdc.gsfc.nasa.gov/planetary/lunar/moon_tree.html).

NON POTEVA POI mancare, nel capitolo dedicato alla musica, Antonio Stradivari che «tra il 1695 e 1705 costruì almeno quattordici fra viole e violini utilizzando il legno dello stesso abete rosso». Alcune storie le stiamo scrivendo oggi. È il caso delle nostre città, tra i principali motori dell’aggressione all’ambiente. «Attualmente intorno al 70% del consumo globale di energia e oltre il 75% del consumo mondiale di risorse naturali sono a carico delle città, le quali producono il 75% delle emissioni di carbonio e il 70% dei rifiuti», dice l’autore.

QUINDI TRA LE DIVERSE soluzioni riportate nel libro per modificare questo primato negativo vi è quello di aumentare la presenza di piante in ogni luogo – tetti, facciate, strade – e non soltanto nei pochi parchi o aiuole. A tal proposito Mancuso, con l’architetto Stefano Boeri, ha progettato Prato Urban Jungle, finanziato dall’Europa, che mira a ri-naturalizzare alcuni quartieri della città toscana grazie a una riforestazione urbana innovativa. «Quando si parla di lotta al riscaldamento globale – disse Mancuso in tv – in genere si prendono in considerazione, e giustamente, le iniziative da intraprendere per ridurre la produzione di anidride carbonica, è ora anche di lavorare sul riassorbimento dell’anidride emessa nell’atmosfera facendosi aiutare dagli alberi».

SECONDO MANCUSO servirebbero mille miliardi di alberi in tutto il pianeta per raggiungere l’obiettivo, numero non impossibile. In Italia ne servirebbero due miliardi. Per la messa a dimora sarebbe sufficiente un terzo dei terreni agricoli abbandonati dagli anni ’80 a oggi.

LE PIANTE «COSTITUISCONO la nervatura, la mappa sulla base della quale è costruito l’intero mondo in cui viviamo. Non vederla, o ancora peggio ignorarla, credendo di essere al di sopra della natura, è uno dei pericoli più gravi per la sopravvivenza della nostra specie».