Siamo così contenti di aver infine omologato l’intero spazio bianco europeo da non avere la minima curiosità sul destino dei vinti. Anzi ci siamo convinti non ci siano vinti.

Sappiamo certo dei muri da costruire contro i non bianchi, leggiamo che in un paesino meridionale un padroncino teneva in stato di schiavitù i suoi 53 lavoranti, e in condizioni simili sono i clandestini assunti per la raccolta dei pomodori e per le altre attività agricole stagionali. In casa le nostre piccole riparazioni sono affidate a rumeni che ci fanno risparmiare perché sono ‘in nero’, donne ucraine fanno le pulizie o si occupano di disabili perché costano almeno un terzo di meno delle donne locali.

E potremmo continuare con altri esempi che sono la risposta alla domanda: chi ha vinto e chi ha perso dopo l’89.
Abbiamo vinto noi ‘lavoratori non manuali’, dagli intellettuali che possono discettare sulla democrazia e sul neo liberismo, agli uomini della moneta, gli imperatori del XXI secolo, i quali nel loro lunghissimo percorso, dopo aver osteggiato gli uomini della politica, dalla fase della monarchia assoluta a quella dello stato di diritto, si trovano protagonisti egemoni della loro fase.

Questa fase ha una specificità: i suoi protagonisti governano con gli algoritmi in commistione con l’antropologia culturale plebea (bianca).
Gli algoritmi sono le cabale dell’information technology, e servono sia per orientare le complesse esigenze dei potenti e sia per le scelte di vita del singolo. Il singolo gode del consenso, predisposto dagli algoritmi, di essere come la natura lo ha fatto e dunque di non avere vincoli – legali, politici, religiosi – nel perseguire il proprio interesse privato sempre che ne abbia la forza.

La forza si esprime nel chiudere un impianto industriale in crisi, nel far fallire un giornale avversario, nell’emarginare le funzioni dei magistrati, dei parlamenti, dei governi e più in generale delle istituzioni politico-amministrative, in quanto alieni alla libertà della forza, alieni all’algoritmo che la consente.

La libertà della forza ha una sua essenza e molte forme. L’essenza la conoscono solo gli uomini della moneta, i quali per l’appunto non sono mai toccati nelle proprie strategie di potere, grazie ad appositi algoritmi. In parallelo le molte forme di libertà della forza premiano il singolo, con un’antropologia culturale che lo legittima nell’agire per sé, e lo fa indifferente o ostile all’altro da sé.

Riemerge da ancestrali primordi il comando senza limiti del forte sul debole che si estrinseca innanzitutto nel rapporto su colui che si paga perché lavori in condizioni decise unilateralmente da chi lo paga: dal commesso del centro commerciale al bracciante africano clandestino. Crescono poi le libertà di atti di violenza che non sono la reazione ad ostilità subite da nemici realmente esistenti ma testimonianze pure e semplici del poter fare quello che si vuole, e infine vi sono le violenze anonime sui social, rese possibili dalle tecnologie che tutti usiamo. Non vi è contraddizione culturale tra gli strumenti del XXI secolo che si usano per le manifestazioni di violenza e gli esseri umani che le compiono regredendo così a epoche dimenticate. Anzi. È come se quegli strumenti – dalle app dei cellulari ai droni – servano a canalizzare le rabbie plebee in modo da non danneggiare l’ambiente di chi sta in alto.

Lo sparo dell’anonimo contro anonimi nei licei americani, per le strade, nei supermercati rientra nella medesima antropologia culturale per cui viene deciso di usare un qualche drone per eliminare capi di fazioni religiose nelle parti del mondo non bianco. Rientrano ambedue nella libertà della forza restituita agli esseri umani che nel tempo presente sono stati fatti tornare allo stato di natura secondo l’antropologia culturale oggi egemone.

L’egemonia di chi comanda ha diviso il suo universo in varie sfere, vi è quella dove sono decisi gli algoritmi e i loro ambiti; vi è quella dove la libertà della forza serve ad acquisire il consenso del singolo per il potere.

In parallelo da parte del potere il consenso è assicurato a colui che usa la libertà della forza nelle quotidiane relazioni sociali. Sono relazioni di disuguale livello poiché la libertà di chi possiede ricchezza ha confini amplissimi la esercita su chi ne è privo, come lo è l’uomo senza lavoro, l’operaio dell’industria che ha perso la sua centralità sociale, smarrendo con essa anche la prospettiva politica di essere tenuto in considerazione per il suo temuto antagonismo.

Con la dismissione dei luoghi di lavoro collettivi la sconfitta operaia era già concreta, e la si subiva ma rimanevano le illusioni: i mattoni del muro di Berlino sono caduti su quelle illusioni e molto male hanno fatto.