Un film «scandalo» proprio no, a meno che fare l’amore non sia scandaloso. O forse disturba il fatto che sono due (o più) uomini a farlo in sequenze hardcore che mostrano tutte le possibilità, mette a disagio l’irriverenza dei loro piaceri assoluti senza nessun bisogno di alibi, la bellezza spudorata dei loro corpi anche quando sono troppo grassi e poco palestrati e la macchina da presa li accarezza morbidamente.

Le immagini di Alain Guiraudie sprigionano la bellezza di una sensualità antica, gli organi genitali sono come affreschi carnali, e gli uomini che popolano quell’eden omosessuale sulle rive di un lago d’estate nel sud della la Francia raccontano profondamente un maschile omosessuale. [do action=”citazione”]L’Inconnu du lac, ritorno di uno dei registi d’oltralpe meno «classificabili» quale è appunto Guiraudie (lo vediamo all’inizio in un cameo come uno dei bagnanti), è infatti un film assolutamente gay, un thriller metafisico e erotizzante, capolavoro che respinge i cliches del «genere» coi suoi corpi pieni di vita e di verità.[/do]

Franck è un ragazzo bello che frequenta una spiaggia gay dove si va per fare sesso. Nessuno si conosce davvero, a volte nascono storie, altre finisce lì. Poco distante, oltre il confine che separa a spiaggia del «rimorchio», Franck incontra Henri, grasso, triste, che passa ore da solo a fissare il lago senza mai bagnarsi. Tra i due nasce un’amicizia, Henri aveva una fidanzata, non sembra interessato al sesso e lo teorizza, mica si deve sempre scopare dice invitando ma invano Franck a cena o a bere un aperitivo. Il ragazzo non ha occhi che per Michel, sconosciuto virile e tenebroso che diverrà il suo amante.

Intorno a questa triangolazione ambigua, inespressa e a suo modo passionale, il film muove altre figure, un paesaggio umano che racconta il rituale della spiaggia: una nuotata, uno sguardo, un ammiccamento e via nel bosco accogliente tra i cespugli di una natura distante. Il sesso è il centro, una sessualità pura, estetica, plastica, che Guiraudie filma senza censure, alla luce del giorno e nella notte, sulle rive romantiche di un tramonto e nella brutalità della macchia verde.

Sapremo presto che Michel è un assassino feroce, Franck è il testimone nascosto dall’oscurità del suo delitto, l’amante affogato nel lago che ne restituisce qualche giorno dopo il corpo. Eppure questo non gli impedisce di vivere con lui un rapporto intimo di piacere intenso, Franck vorrebbe di più, una notte passata insieme, una cena, l’altro sfugge: la passione finirebbe presto se si vedessero fuori, ma sono queste le regole condivise del luogo tra chi lo frequenta a cui non riesce a credere lo stranissimo commissario di polizia che indaga: «“Come è possibile che state ore con qualcuno e nemmeno ne conoscete il nome?».

Neppure noi spettatori usciamo mai di lì. Il dispositivo di Guiraudie è l’unità di luogo, ogni giorno comincia e finisce al parcheggio dove la comunità arriva da qualche parte in automobile e riparte senza che sappiamo dove. Il regista non alza mai il filo dell’orizzonte, non vediamo case, locali, strade, si rimane sempre tra l’acqua chiara del lago e il boschetto, come in una cosmogonia mitologica attraversata dall’ inquietudine esuberante e complicata, persino tragica forse di quei corpi e del movimento incessante che li avviluppa. Non vedremo mai neppure una sola presenza femminile anche se a un certo punto un tipo che si aggira nel boschetto chiede: ma non ci sono donne qui

Ma non è il «realismo» che interessa Guiraudie, la realtà nei suoi film prende forma in una dimensione fiabesca, che ne cattura l’essenza senza essere mai assoluto. Il bosco, e quel buio, l’assassino e l’amante che lo cerca suo malgrado, anche quando uccide l’amico innocuo davanti a lui, geloso di un’esclusività del luogo ma non permessa fuori. Sono le figure amorose, impossibili e incontrollabili che Guiraudie mette in scena sulla spiaggetta, la lotta degli essere contro – o dentro – i codici codificati del comportamento, ciascuno i suoi, etero, gay, bisex, non sempre, o forse raramente, accordati col desiderio. La sessualità nel cinema del regista assume il soffio di una potenza millenaria, è una dichiarazione politica indocile e personalissima. E nel buio della magnifica sequenza finale rimangono sospese infinite domande, e l’affermazione di un piacere libero come forma ineffabile di resistenza.