Alla fine dello scorso mese di aprile il Parlamento ungherese ha approvato un disegno di legge che metterà le università statali del paese nelle mani di fondazioni private. Si tratta di una disposizione concepita dalle forze governative per far venir meno, una volta per tutte, l’indipendenza accademica; infatti i curatori delle fondazioni saranno scelti dall’esecutivo fra figure gradite al primo ministro Viktor Orbán.

Nulla di cui meravigliarsi, almeno per chi conosce il premier ungherese e il sistema di potere da lui creato e guidato. Un sistema che si è da subito impegnato ad assicurarsi il controllo di tutti i settori della vita pubblica del paese, a partire da quelli più strategici, come il mondo mediatico, per esempio. La cultura e l’università non potevano rimanere estranee a questo processo volto a fare della stampa, della giustizia e di altri comparti di importanza essenziale, cinghie di trasmissione dei valori propagandati dal governo e strumenti di pressione politica e sociale.

Nei disegni di Orbán questi settori devono essere organici e funzionali al mantenimento del suo sistema che abbisogna di un’organizzazione capillare di cui fanno parte varie oligarchie, centri di potere e figure burocratiche che devono obbedienza al premier. Obbedienza e lealtà; questo verrà chiesto anche ai futuri curatori delle fondazioni preposte alla gestione delle università. Non sono previste in questa visione voci discordanti o elementi di disturbo. Tale è stata considerata, ad esempio, la CEU (Central European University) creata da George Soros, magnate statunitense di origine ungherese, additato dal sistema all’opinione pubblica come nemico numero uno del paese.

Con la cosiddetta “lex CEU” questa università, è stata costretta ad “emigrare” a Vienna, ma di recente un verdetto della Corte europea ha giudicato questa disposizione contraria alle regole europee in quanto irrispettosa della libertà dei servizi. Di conseguenza il governo di Budapest ha dovuto accettare l’abrogazione, nella legge, del passaggio riguardante il divieto di operare sul suolo ungherese alle università straniere che non disponessero di un campus nel loro paese di origine.

Con la sentenza della Corte europea la CEU potrebbe in teoria tornare a Budapest ma non sembra averne molta voglia, almeno per il momento. Infatti i suoi vertici giudicano le modifiche alla legge governativa ungherese non sufficienti e temono che, anche con la soppressione del passo “incriminato”, continuerebbe a dipendere dall’arbitrio del sistema orbaniano. In fondo l’esecutivo e i suoi sostenitori continuano a vederla come una “greppia liberale” e per i nazionalisti ungheresi il termine “liberalismo” è sinonimo di assenza di interessi nazionali e di predilezione per valori falsi e fuorvianti come il cosmopolitismo e il multiculturalismo.

“Noi non vogliamo una società multiculturale”, ha detto più volte Orbán in interviste e dichiarazioni pubbliche. Soros è per il sistema al potere in Ungheria il capofila di tutti gli speculatori che vorrebbero fare dell’Europa intera una colonia del capitale globale, priva di identità e per questo inerme e pronta ad essere ghermita.

La stampa e l’università possono diventare ottime piattaforme per diffondere messaggi volti alla difesa della patria e dar luogo ad un martellamento propagandistico che presuppone la forgiatura di un pensiero irreggimentato. Un pensiero che non ammette dubbi ed esclude ogni tendenza critica: il governo Orbán lavora unicamente per il bene del paese ed è il solo sistema di potere in grado di tutelare gli interessi nazionali e servire degnamente il popolo. La messaggistica del premier parte da questo presupposto e ha nella propaganda una voce di fondamentale importanza su cui investire di continuo. Essa descrive pertanto come realizzazione di grande interesse collettivo il recente accordo concluso da Budapest e Pechino relativo la creazione di un campus di grandi dimensioni, nella capitale magiara, per l’università Fudan di Shanghai.

Si prevede che l’ateneo ospiti facoltà di Lettere, Studi sociali, Scienze, Medicina e Politecnico, con un organico di 500 insegnanti e una comunità studentesca di 6.000-8.000 unità. Non sono contemplate borse di studio, si parla invece di programmi didattici a pagamento. L’accordo stabilisce che la costruzione dell’edificio destinato a ospitare l’università venga effettuata da imprese cinesi con un maxi credito assicurato da Pechino.

L’opposizione ungherese avversa sia il progetto delle fondazioni che l’intesa che porterebbe l’università Fudan a Budapest che figura fra le prime quaranta al mondo. Per essa la sua presenza favorirebbe lo spionaggio cinese in Occidente. Di recente Orbán ha annunciato sui social di aver accettato l’invito a compiere una visita ufficiale in Cina per rafforzare i rapporti bilaterali. Rapporti che hanno portato anche a un accordo per la costruzione in Ungheria della linea ferroviaria Budapest-Belgrado con un importante credito cinese.

È noto, inoltre, che Pechino ha fornito all’Ungheria 5 milioni di dosi del vaccino Sinopharm che le autorità danubiane non hanno perso tempo ad adottare, il tutto senza attendere il parere dell’EMA. Stesso discorso per il vaccino russo Sputnik V. Si sa anche della propensione di Orbán per i poteri e i leader forti, tanto che il premier ungherese ha più di una volta posto il veto, in sede europea, a dichiarazioni di condanna nei confronti della Cina e della Russia.

Tornando alle università, recentemente a Budapest si è svolta una manifestazione di protesta contro l’arrivo della Fudan. A essa ha partecipato il sindaco della capitale, Gergely Karácsony il quale, parlando ai dimostranti, ha detto che il governo attuale sta svendendo gli interessi nazionali ai cinesi e definito vergognosa questa situazione. Secondo un recente sondaggio due terzi degli ungheresi avversano il progetto. Intanto si apprende che è previsto un referendum, sulla Fudan, che dovrebbe svolgersi fra circa un anno.

La cosa è stata accolta dall’opposizione come un passo indietro del governo rispetto al progetto, ma è troppo presto per cantare vittoria. Infatti in Parlamento la maggioranza ha approvato due misure: con la prima lo stato offre terreno a titolo gratuito per ospitare il campus, l’altra qualifica il progetto come “investimento di speciale importanza per lo stato”, cosa che renderebbe il medesimo esente dalla richiesta di vari permessi. In più la fondazione destinata a gestire l’università è già stata creata.

Insomma, l’accordo con Pechino è stato ormai raggiunto e sarebbe difficile ritirarsi. Sembra inoltre che le autorità cinesi tengano molto a questo progetto e hanno criticato i manifestanti anche attraverso la loro ambasciata a Budapest.

Come già precisato, l’opposizione partitica e sociale contesta questa intesa e i piani governativi per modificare il mondo universitario. Sei partiti dell’opposizione hanno raggiunto un accordo in funzione del voto previsto per aprile dell’anno prossimo e promettono, in caso di vittoria, di restituire le università alla gestione pubblica e di cancellare le riforme “ingiuste” di Orbán. Staremo a vedere