Critico teatrale de l’Unità tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, attivo insieme a Amodei, Calvino e Fortini all’interno del gruppo Cantacronache, fondato nel 1957 da Sergio Liberovici e Michele L. Straniero e volto al rinnovamento della canzone italiana – furono in pratica i precursori dei cantautori italiani – oltre che al recupero dei canti politici e della Resistenza, Giorgio De Maria ha scritto anche vari romanzi, passati praticamente sotto silenzio al momento della loro pubblicazione. Un paio di anni fa, però, il suo Le venti giornate di Torino (recensito su il manifesto del 27 ottobre 2017) è stato riscoperto negli Usa, a quarant’anni dalla sua uscita, pubblicato in America dalla casa editrice Norton e, subito dopo, riproposto pure in Italia da Frassinelli, riscuotendo – in entrambi i casi – successo tra il pubblico e un’ottima accoglienza da parte della critica.

ORA, SEMPRE PER I TIPI dell’editore milanese, dopo oltre cinquant’anni, ritrova la strada delle librerie anche il romanzo d’esordio di De Maria, I trasgressionisti (Frassinelli, pp. 128, euro 15) uscito in origine per Mondadori e totalmente ignorato all’epoca.
Ancora una volta, l’autore torinese, nonostante affrontasse per la prima volta la forma romanzo, si conferma scrittore di razza. Innanzi tutto per la sua capacità di strutturare perfettamente la storia che si dipana coinvolgendo sempre di più il lettore, poi per la padronanza esibita su di una scrittura assolutamente letteraria ma al tempo stesso avvincente, in grado di rendere reali personaggi e ambienti e al tempo stesso intrisa di visionarietà alla maniera di Edgar Allan Poe.

ANCHE IL TONO – ironico all’estremo fino a raggiungere il sarcasmo – contribuisce ulteriormente alla riuscita di un libro affascinante ma al contempo spiazzante, straniante. La storia è raccontata in prima persona dal protagonista, di cui non si saprà mai il nome ed è ambientata a Torino. Il narratore è un impiegato, conduce una vita normale, tranquilla ed è in procinto di sposarsi con la fidanzata.

LA SUA VITA CONFORTEVOLE e banale, però, non lo preserva da una sorta di disagio esistenziale che lo fa confusamente sentire come segregato in un «tetro carcere di abitudini e di conformismi». Un giorno, per caso e grazie all’intervento di un amico, entra in contatto con un gruppo di persone e poi aderisce a una sorta di setta guidata dal Maestro, i Trasgressionisti, appunto, che attraverso gesti, azioni, comportamenti trasgressivi, all’inizio praticamente insignificanti poi più profondi mirano al Grande Salto che gli consentirà poi di sovvertire l’ordine costituito, il sistema di potere, le abitudini e i modi di vita imposti.

È FORSE OPPORTUNO notare come i Trasgresssionisti con le loro pratiche e le loro concezioni possano far venire in mente un altro gruppo realmente attivo negli anni Sessanta, alla base e partecipe attivamente della rivolta del ’68, ovvero i Situazionisti con i loro concetti di situazione costruita, di deriva, di détournement, i quali, tra l’altro, affermavano che «l’unica impresa interessante è la liberazione della vita quotidiana».
Lontano dal weird tale, magistralmente incarnato da Le venti giornate di Torino, questo romanzo, che pur mostra elementi di «stranezza» e visionarietà, risulta essere difficilmente inquadrabile all’interno di un genere specifico. Qui, con più nettezza, emerge l’elemento politico, di critica radicale alla contemporaneità.
Critica che senza difficoltà arriva a coinvolgere anche e soprattutto il nostro tempo, dominato da paure, insicurezza e conformismo. E se si pensa che il libro fu pubblicato nel 1968, vien fuori con ancora più forza la figura di Giorgio De Maria, artista in grado di cogliere i sommovimenti che si annunciavano nella sua epoca, trasfigurandoli con la sua arte in modo tale da offrire anche al lettore di oggi strumenti adeguati alla comprensione della realtà attuale.