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Capisce le ragioni di tutti i movimenti che in questi giorni, e ieri in particolare, hanno riempito le piazze. Di tutti, tranne che dei “Forconi”: «Opachi nell’organizzazione e confusi negli obiettivi», dice l’europarlamentare Sergio Cofferati. Ma da leader storico della Cgil mette in guardia anche il suo sindacato: «Nel congresso di primavera la vera sfida si giocherà sulle nuove forme organizzative e sulla capacità di proporre obiettivi chiari e realizzabili». Solo così si riduce l’impatto con il nuovo corso di Matteo Renzi. Anche se, secondo Cofferati, il legame storico tra Pd e Cgil è saldo: «Nessuno dei due può fare a meno dell’altro».

Non solo forconi ieri in piazza ma anche metalmeccanici, studenti, medici… e qualche giorno fa i tranvieri autorganizzati a Genova e Firenze. Il disagio aumenta e si sviluppano forme di autoconvocazione. E il sindacato?

Sono lotte diverse per motivi differenti, da tenere distinte. In tutti i casi le ragioni sono comprensibili e chiare. Come anche le forme organizzative: le manifestazioni spontanee, nel caso degli studenti, o strutturate da organizzazioni stabili, nel caso di medici o tranvieri. I cosiddetti forconi sono tutt’altra cosa: la loro organizzazione è opaca, le loro ragioni di sofferenza non chiare, gli obiettivi confusi, sospesi tra un moto di ribellione tout court e una serie di richieste fiscali mai precisate. E soprattutto i forconi sono violenti e questo è inaccettabile. Ma questa contestualità di iniziative vuol dire che nelle condizioni materiali di vita non si percepisce alcun segno di affievolimento della crisi. Perciò ho trovato almeno singolare l’enfasi con la quale Letta e il governo hanno annunciato la fine della recessione, dicendo che siamo ora a crescita zero. Ma anche così ci sono forti effetti negativi sulla vita delle persone.

Eppure in questo contesto la leader della Cgil Susanna Camusso dice che lo sciopero generale non è più uno strumento sufficiente. Cosa ne pensa?

Lo sciopero generale è il più alto e unificante degli strumenti di cui dispone il sindacato. Ma va usato con acume, per ragioni chiare, forti e che coinvolgono tutti. Questo però vale in generale. Ogni forma di sciopero infatti è una restrizione per l’impresa ma anche per il lavoratore, altrimenti è una forma degenerativa. Ne abbiamo viste anche di recente.

Lei era a capo del sindacato durante lo sciopero generale del marzo 2002. C’è chi lo ricorda come un successo, con 3 milioni di persone in piazza…

È un errore: quella fu una grandissima manifestazione in difesa dell’articolo 18, ma senza sciopero. Lo sciopero generale a mia memoria più partecipato degli ultimi 30 anni si fece due mesi dopo, ma nessuno lo ricorda perché le iniziative erano locali e la visibilità ridotta.

La trasformazione del mondo del lavoro e la precarizzazione della società rendono comunque obsoleti certi strumenti tradizionali di lotta sindacale, sembra dire Camusso.

Io non ho capito esattamente cosa pensa Susanna: se dice che lo sciopero generale come strumento a disposizione del sindacato non serve più, non sarei d’accordo. Non ho obiezioni invece se pensa che non è più sufficiente. Se la Confindustria decidesse di bloccare tutti i contratti nazionali, o se devo affrontare la crisi di un dato complesso industriale, o nel comparto sanità, lo sciopero generale può essere indispensabile, anche in funzione solidale. Ma oggi non c’è il problema di riunificare le tante lotte che hanno ragioni diverse tra di loro. Peraltro trovo un po’ singolare la discussione sullo sciopero generale, perché il sindacato lo ha fatto un mese fa sulle politiche di sviluppo: un tema che riguarda tutti, chi il lavoro ce l’ha, ma ancor prima chi lo cerca.

Prove tecniche di comunicazione con il nuovo segretario del Pd, Renzi, per evitare la rottura tra la Cgil e il suo partito storico di riferimento?

Il rapporto tra Cgil e Pd sarà quello di sempre, non è possibile né per l’uno né per l’altro fare diversamente. Il sindacato confederale è il soggetto più efficace per difendere i lavoratori. Più di un sindacato di categoria, come nel modello del centro Europa, o di un sindacato di professione come nel nord europeo. Partiti e sindacati come un secolo fa sono i soggetti più rappresentativi della società ma entrambi devono oggi risolvere il problema dell’organizzazione e di come agiscono. Poi, sulle scelte di merito possono avere opinioni molto diverse. Nell’affermazione della reciproca autonomia e del reciproco rispetto, senza subalternità dell’uno verso l’altro.

Ovvio. Ma all’orizzonte non si prospetta la fine del rapporto storico tra partiti e rappresentanze sindacali?

No. Non credo che tra il Pd di Renzi e la Cgil possa venir meno il riconoscimento reciproco di ruolo. È evidente però che se ci sarà un governo Renzi spetterà alla Cgil

trovare la capacità di farsi ascoltare

. Un potere contrattuale che però non sta tanto nelle forme di lotta – da arricchire semmai –quanto nella capacità di individuare soluzioni convincenti. Nel congresso della Cgil della prossima primavera la sfida sarà trovare una proposta forte per promuovere sviluppo e crescita. Ma bisognerà anche dimostrare di avere una capacità organizzativa adatta all’oggi.

Nella grande fabbrica fordista il sindacato si radicava più fortemente; nel lavoro della rete non c’è più rapporto diretto, fisico, tra le persone, dunque si fa più fatica e occorrono nuove forme di rappresentanza.

Quando io sono entrato nel sindacato in una fabbrica con 13 mila dipendenti, nelle assemblee c’erano 5 mila persone. Allora le organizzazioni studentesche cercavano un rapporto con quel movimento, grande e visibile. Oggi

fanno fatica a rapportarsi con un mondo del lavoro così diffuso e liquido che è difficile perfino vedere.

Occorre una nuova legge sulla rappresentanza? Maurizio Landini ieri ne ha discusso con il governo.

Da anni penso che bisogna dare attuazione alla Costituzione e che sia necessaria una legge che garantisca l’esercizio della rappresentanza.

Se un contratto di lavoro vale erga omnes deve essere approvato dalla maggioranza dei destinatari, altrimenti sei di fronte a un potenziale arbitrio

. Siamo già in ritardo con questa legge, dobbiamo farla per difendere tutti, imprese e lavoratori. Perché oltre a garantire i diritti, riduce il conflitto.

Davanti alla radicalizzazione della protesta, quale è il ruolo del sindacato? Ridurre il conflitto?

Il conflitto è fisiologico ma bisogna evitare qualsiasi patologia, e la radicalizzazione è una patologia. Va combattuta con il confronto preventivo, facendo il mestiere tradizionale di rappresentare e contrattare. Evitando demagogia e enfasi sugli argomenti. Consiglierei una riflessione sulla Fiat che prima in tutti i modi ha cercato di espellere la Fiom, mentre ora è parzialmente tornata sui suoi passi e ha riaperto il confronto. È una novità molto sottovalutata. Vuol dire che anche un’impresa che aveva praticato l’esclusione di un sindacato ritenuto radicale alla fine ha capito che il confronto conviene. È la prova provata che il sindacato serve sia alle imprese che ai lavoratori.