Sono trascorsi pochi secondi dall’inizio di Dark Souls II, che comincia con un breve e deprimente filmato alla fine del quale ci troveremo in una buia radura, vestiti di stracci e vittime di una maledizione che ci ha tolto vita, famiglia e umanità trasformandoci in dannati come quelli della poesia di T.S. Eliot, uomini vuoti con la testa piena di paglia invece che di pensieri e emozioni. Solo pochi secondi e la dama con la falce che alberga nel gioco è già pronta a colpire.

Muovo i primi passi tra l’erba alta mentre in lontananza si scorge una casetta tetra. C’è un rumore animale tra gli steli. Sono alcune scimmiette deformi che saltellano e banchettano tra le ossa bianche di rari scheletri. Sembrano incuranti del mio passaggio e inoffensive. Potrei lasciarle in pace mentre percorro il sentiero verso il sinistro edificio. Ma la tentazione è forte e così, a mani nude, le attacco. Basta sfiorarle con un floscio pugno che queste, tutte insieme, mi balzano addosso. In una frazione di secondo lo schermo diventa nero e compare vermiglia la scritta «Sei Morto».

C’è qualcosa di speciale nella prima «morte» in un gioco della serie «Souls», saremo destinati a soccombere centinaia di volte, ma il primo Game Over è una lezione di vita nell’inferno virtuale inventato da From Software: mai tentare qualcosa a sproposito, mai pensare che non ci siano pericoli, mai «giocare». Perché questi videogame sono trappole mortali concepite al solo fine di annientare il giocatore sprovveduto, distratto e pigro così come quello più smaliziato e presuntuoso. Bisogna affrontarli con umiltà e gravità, solo così, alla fine, dopo ore e ore di sacrifici, terrore e fatiche sarà possibile vincere.

Dark Souls II, appena uscito per Playstation 3 e XBox 360, è uno di quei pochi videogiochi contemporanei in grado di astrarre dalla realtà con la potenza di un’allucinazione. Un’opera d’arte che nelle decine di ore utili per completarla condizionerà sogni e pensieri dando l’illusione che il mondo di gioco sia una realtà più vicina alla nostra di quella di tante altre meravigliosi e riusciti videogiochi. Per fortuna sono pochi i videogame che costringono a un’immersione così totale, ma quando lo terminerete, se ci riuscite, vi lascerà, insieme alla nostalgia, qualcosa di unico: il ricordo di un’avventura grandiosa e oscura che ha richiesto dolore e solitudine ma ha concesso emozioni di trionfo che è raro provare in un videogame, per quanto possa essere appassionante.

Chi ha temuto che per ragioni commerciali questo sequel potesse essere meno impegnativo del suo predecessore e di Demon’s Souls può stare tranquillo, poiché la difficoltà rimane leggendaria e impietosa sebbene non sia frustrante. La complessità può talvolta sembrare insormontabile ma con la logica, la pazienza e il coraggio nessun ostacolo può fermare il progresso di un giocatore motivato, inebriandolo dopo ogni vittoria con un senso di tripudio che ripaga l’iniziale sconforto. Un sentimento di esaltazione che ricorda quello che si può provare dopo un’impresa agonistica o per l’ascesa di una vetta. Chi ritiene che sia un’esagerazione allora non ha mai vissuto le gioie e i dolori di nessuno dei «Souls». Si vaga in un mondo decaduto e sfiorito, abitato da pochi esseri inquieti e dolenti e da creature micidiali.

L’intreccio è vago e la trama appena suggerita, poiché la storia la racconta il giocatore ed è sempre soggettiva e unica. Ci sono tracce di un passato, o di molti passati, ma un mistero impenetrabile ammanta questo mondo di una nebbia ermetica e insondabile.

Ci armiamo di spade, lance, archi e scudi o di diverse magie (meglio se impariamo a combattere in maniera elastica) e proseguiamo attraverso boschi su cui pende un cielo perennemente nuvoloso elettrificato dai tuoni, manieri di ferro affogati nella lava, cave marce drappeggiate da appiccicose ragnatele, gole sotterranee dove statue minimali sputano veleno, fogne supreme in cui cola ogni sporcizia, castelli immensi battuti dalla pioggia, foreste sepolte dalla bruma, catacombe dove è un peccato capitale osare accendere una luce, nidi di draghi su picchi impervi e paludi tossiche. nelle cui acque sguazzano colossi abominevoli.

Le ambientazioni sono monumentali e decadenti, spesso oscene e magnifiche nella loro sadica e insidiosa bellezza macilenta. Esplorazione e combattimento sono gli elementi ludici che regolano lo svolgimento di questa cupa e esaltante epopea in cui sbagliando si impara davvero. Le punizioni sono ovunque, soprattutto quando si comincia a pensare di stare diventando forti. I nemici comuni ci possono annientare in pochi colpi, se li sottovalutiamo, o una porta che potrebbe nascondere un tesoro cela invece un baratro. Bisogna essere sempre concentrati e mai osare troppo, soprattutto se non si vogliono perdere per sempre le anime lasciate dai nemici sconfitti, elemento preziosissimo che serve per salire di livello. Se state per aprire un forziere state sempre attenti che nei pressi non ci sia del sangue, perché in questo caso sono una trappola.

Dark Souls II ci insegna a essere prudenti. La differenza fondamentale con il precedente capitolo consiste nel fatto che, una volta eliminati per una decina di volte consecutive i mostri che popolano le diverse aree, questi non compariranno più. Se da un lato l’estinzione definitiva dei mostri rende l’esplorazione più semplice e gratifica il giocatore con un senso di dominio sull’orrore, dall’altra rende il gioco ancora più complesso sotto l’aspetto della strategia perché impedisce di salire di livello, negando una fonte illimitata di anime.

Le regioni del gioco si possono ripopolare di nemici usando un raro oggetto, ma questi saranno ancora più cattivi. Ma il gioco nasconde molti segreti e se si prova a suonare la campana nel sottoscala della Cripta del Non Morto, poco prima dell’antro in cui si trova il cavaliere Velsdatd, alcuni bianchi fantasmi incappucciati torneranno sempre, garantendo un’infinita fonte di anime. Però bisogna prima arrivarci e saperli affrontare…

L’apice della difficoltà di Dark Souls II sta negli scontri con i «boss», alcuni dei quali richiederanno ore e ore di prove: l’aracniforme Freja, l’orrenda Peccatrice Perduta, il putrescente Putrido, il malefico trio dei Guardiani della Bastiglia. Per battere alcuni di questi nemici bastano solo impegno e abilità, altri è possibile sconfiggerli con l’astuzia, come il titanico e apparentemente indistruttibile Re dei Giganti o il Carro del Boia. Talvolta, se si sa dove trovarla, Dark Souls II può rivelare al giocatore una preziosissima gentilezza tra tanta crudeltà.

Non risuona quasi mai la musica e l’universo sonoro è composto da suoni sconsolanti, inquietanti e terrificanti. Ma quando interviene la colonna sonora, scritta da Motoi Sakuraba di Star Ocean e Walkyrie Profile, essa diviene una preziosa alleata emotiva durante una battaglia sfiancante.

Non bisogna cadere nel tranello di immaginare Dark Souls II come un gioco riservato a pochi appassionati, in realtà questo «cupo scrigno di prodigi» è un videogame puro, che ripristina la difficoltà primeva di quest’arte novella e rappresenta una sfida il cui superamento è un obiettivo sublime e categorico.

Bisogna temere Dark Souls II senza esagerare, perché la paura offusca la ragione, anche se, come il giovane Skywalker secondo il suo mentore Yoda, il giocatore che si avventurerà nelle sue terre malate e inospitali «la avrà, la avrà». Ma scrisse il filosofo: «ciò che non ci uccide ci rende più forti».