Se Osamu Tezuka è uno degli artisti giapponesi più conosciuti a livello planetario, grazie al suo impatto sul manga e sullo sviluppo dell’animazione televisiva, pochi sono a conoscenza che il grande mangaka giapponese avesse un figlio anch’egli artista. Difficile seguire le orme di un tale padre, ma Makoto Tezuka, spesso firmato Macto Tezka, fin da giovane si dedica alle arti visive, specialmente cortometraggi sperimentali girati in 8mm, con cui vince anche alcuni riconoscimenti, alcuni sono davvero interessanti e un giorno magari verranno riscoperti anche da un pubblico più vasto.

A proposito di riscoperte, da un po’ di tempo sta girando nel circuito festivaliero di nicchia ed anche in dvd e Blu-ray in Giappone (fra poco anche in Europa grazie alla Third Window), un lungometraggio che Tezuka figlio realizzò a metà degli anni ottanta, intitolato The Legend of the Stardust Brothers, si tratta di un lavoro abbastanza fuori dagli schemi, in parte musical, in parte film di serie B a basso budget, ed in parte videoclip e presa in giro della cultura pop degli anni. Già la genesi, o almeno la storia che circola, del lavoro è tutto un programma, nel 1985 il giovane Tezuka, all’epoca ventitreenne, si imbatte in una colonna sonora realizzata dal musicista Haruo Chikada per un film immaginario che non esiste.

I due cominciano a lavorare insieme e dopo poco ne esce il lungometraggio di debutto per il figlio d’arte, un film tutt’ora poco conosciuto tanto in patria che all’estero. La premessa è quella che due giovani musicisti leader di due bande rivali, Shingo e Kan, vengono misteriosamente chiamati nei quartieri generali della Atomic Production dove viene data loro la possibilità di diventare un duo di cantanti ricchi ed adorati dal pubblico, ma solo per un periodo determinato di tempo. Le situazioni create nel film sono comiche e spesso surreali, con un occhio critico verso l’industria discografica produttrice di personaggi e musicisti fatti su misura, ed incapsulano alla perfezione l’atmosfera pop degli anni, siamo in piena bolla economica.

Quel che salta all’occhio fin dalle primissime scene in bianco e nero che poi si trasformeranno subito in vividi colori, è un eclettismo nell’approccio verso la settima arte che deborda quasi nell’amatorialità. Tezka infatti, come detto, pur avendo sperimentato molto nell’ambito filmico, era al tempo più legato ed influenzato da altri ambiti dell’arte visiva come i videoclip, le pubblicità televisive e naturalmente i fumetti.

Il film è in questo senso un trionfo del camp a basso costo ma molto divertente da vedere e ricco di trovate che conducono lo spettaore per mano fino alla sua conclusione. Animazioni, mostri in stop-motion, cameo di personaggi famosi della televisione giapponese si mescolano in un frullato pop che intrattiene con leggerezza. Stilisticamente per il tono surreale, fuori dagli schemi e talvolta poetico, il film ricorda alcuni dei lavori realizzati più o meno negli stessi anni da Nobuhiko Obayashi, certo House del 1977, ma anche, se non soprattutto, film quali School in the Crosshairs, The Drifting Classroom o Miss Lonely.

Al tempo della sua uscita in Giappone il lungometraggio fu praticamente stroncato dai critici, fatto che quasi spinse il giovane Tezka ad abbandonare la sua cariera nell’ambito delle arti visive. Il fatto di poter apprezzare un film del genere oggi è legato, come del resto accade per molti lavori camp o a basso budget, anche dal fatto che lo si può vedere e giudicare anche come un documento dell’epoca, funziona cioè come una piccola macchina del tempo per rivivere il periodo in cui fu creato.

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