Guardano il dito, non la luna. Mentre si avviano ad approvare definitivamente il taglio dei parlamentari – «nella prima settimana di ottobre», garantisce Di Maio – Pd e 5 Stelle si preparano a cambiare la legge elettorale per fermare l’avanzata della Lega. E non si accorgono che è proprio la riforma costituzionale a favorire irrimediabilmente il primo partito. Cioè la Lega. Al quale, anche con la legge proporzionale, per raggiungere la maggioranza assoluta sia alla camera che al senato basterà allearsi con una formazione medio-piccola. Cioè Fratelli d’Italia.

La storia si ripete e l’attuale maggioranza rischia di non raggiungere i suoi scopi neanche con il ritorno al proporzionale. Del resto le leggi elettorali hanno sempre punito i loro artefici. È successo nel ’93-’94 quando il Mattarellum approvato da Dc-Psi aprì la porta a Berlusconi, nel 2005-06 quando con il Porcellum di Calderoli vinse Prodi e nel 2018-19 quando il Rosatellum voluto principalmente da Renzi e Forza Italia ha incoronato i 5 Stelle. Questa volta potrebbe essere il taglio dei parlamentari a rivelarsi un pessimo affare. Sia per i 5 Stelle che ne hanno fatto un provvedimento bandiera, persino gonfiando i risparmi che ne deriverebbero. Sia per il Pd che lo ha tanto criticato ma che lo voterà in omaggio alla nuova alleanza.

Il taglio di quasi il 40% dei parlamentari – da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori – peserà a tal punto sulla rappresentanza (avremo un deputato ogni 151mila abitanti, l’Italia diventerà di colpo il paese europeo con il più alto rapporto tra rappresentati e rappresentanti) che non basterà una legge elettorale proporzionale per cambiare le cose. I partiti più piccoli saranno penalizzati fino all’esclusione; parlare di soglia di sbarramento al senato sarà inutile visto che la soglia implicita resterà proibitiva. Dunque anche immediate ragioni di convenienza sconsiglierebbero alla neo maggioranza di procedere con il taglio. Il calcolo è semplice.

Dopo il taglio dei parlamentari, bisognerà eleggere 392 deputati (più 8 all’estero) e 196 senatori (più 4 all’estero). Se passasse la modifica alla legge elettorale che immaginano Pd e 5 Stelle, andrebbero eletti tutti in collegi plurinominali, a liste bloccate, con il metodo proporzionale e uno sbarramento del 4%, un po’ più alto di quello attuale. Si possono prendere i risultati delle recenti elezioni europee, nelle quali solo cinque partiti hanno superato il 4% – Lega 34,3%; Pd 22,6%; M5S 17%; Forza Italia 8,7%; Fratelli d’Italia 6,4% – per immaginare come sarebbe il parlamento di domani. Naturalmente è possibile che alcune forze minori, come la sinistra o +Europa, scelgano di presentarsi sotto le insegne del Pd per non essere tagliate fuori. Ma questo in parte è già accaduto alle europee (quando Articolo 1 è entrato nelle liste Pd) e comunque non modifica il senso della simulazione. Ebbene, alla camera la Lega otterrebbe 151 deputati, il Pd 100, M5S 75, Fi 39 e Fd’I 28. Al senato, che si elegge su base regionale, il partito di Salvini conquisterebbe 71 senatori, il Pd 47, M5S 39, Fi 21, Fd’I 15 e gli autonomisti 3. Numeri che hanno una conseguenza chiara: non sarebbe possibile alcuna maggioranza diversa da quella di centrodestra. Sia alla camera dove bisognerà mettere assieme almeno 201 voti, sia al senato dove ne serviranno 101. Maggioranze che raggiungerebbe facilmente tutto il centrodestra, alle quali potrebbe ancora aspirare l’alleanza a due tra Lega e Fratelli d’Italia (magari mettendo assieme il voto degli autonomisti e di qualche eletto all’estero) ma che sarebbero irraggiungibili per il Pd e i 5 Stelle alleati.

La spiegazione è semplice: tagliando i collegi e riducendo la rappresentanza a discapito delle formazioni minori, qualsiasi legge elettorale favorisce il primo partito. Nel nostro caso la Lega. La proporzionale attenua ma non elimina i danni, rispetto alla dose di maggioritario contenuta nel Rosatellum (che i 5 Stelle hanno voluto confermare appena quattro mesi fa, quando si dice la coerenza). Se pure Salvini perderà qualcosa con la proporzionale, lo guadagnerà con gli interessi con il taglio dei parlamentari che nessuno più mette in discussione. Forse con l’annuncio di un referendum abrogativo impossibile – la Lega non ha neanche le maggioranze necessarie a proporlo nei consigli regionali – sta solo distraendo un po’ l’attenzione.