Non rinnovano i contratti collettivi di lavoro, non vogliono il salario minimo, non hanno alcuna intenzione di fare una politica dei redditi e dei salari per contrastare il calo del potere d’acquisto, non parlano di investimenti, ma vogliono differenziare gli stipendi in base al costo della vita accelerando gli effetti punitivi dell’inflazione sui salari medio-bassi.

Lo prevede un Disegno di legge sulla contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale, presentato ieri dalla Lega. Un provvedimento simbolico, dato che l’eventuale «premio» aggiuntivo ai salari sarebbe agganciato all’immancabile compensazione fiscale alle imprese, fino a 3 mila euro annui per ciascun dipendente, ma finanziato dallo Stato con 100 milioni di euro per i prossimi tre anni. Un atto dimostrativo, praticamente un nulla. Ma è quanto basta per prefigurare uno degli aspetti sostanziali di quella che potrebbe essere l’«autonomia differenziata» cara ai sostenitori leghisti della secessione dei ricchi.

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In effetti, la differenziazione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti privati, ma soprattutto a quelli pubblici, sarebbe uno degli effetti ottenuti se il Veneto o la Lombardia, una volta ottenuta la loro «autonomia», chiedessero tutte le competenze previste. Nella scuola, o nella sanità, i reucci degli staterelli regionali potrebbero decidere loro se, quando e soprattutto chi premiare, oltre che assumere. La contrattazione nazionale ne uscirebbe a pezzi, ancora di più di quanto lo sia oggi.

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Senza arrivare a ipotizzare scenari, ad oggi, possibili ma non ancora per fortuna prossimi, è sufficiente soffermarsi sulle norme della contrattazione accessoria esistente, quella che premia la «performance» individuale e organizzativa, nella logica neoliberale del management per obiettivi. Un sistema a cui si è cercato di agganciare in questi anni aumenti aziendali, su base categoriale, in un paese dove i salari sono bloccati da trent’anni e dove i contratti vengono a malapena rinnovati, sono in maggioranza in ritardo e i loro aumenti oggi non recupererebbero l’inflazione. Aggiungere la differenziazione nella contrattazione aziendale, non risolverebbe né le difficoltà di chi vive nei capoluoghi dove la vita è più cara e toglierebbe addirittura qualcosa a chi vive in provincia, dove i leghisti ieri dicevano che la vita costi di meno. Ciò, in realtà, aumenterebbe solo le diseguaglianze esistenti.

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L’uscita della Lega ha creato ieri una prevedibile baruffa con l’opposizione che ha denunciato il «ritorno alle gabbie salariali tra Nord e Sud». Con conseguenti risposte stizzite da parte dei leghisti. Accade nella politica fast-food che lancia provocazioni coerenti però con lo spirito del suo tempo reazionario