Il silenzio assordante dei parlamentari leghisti che da giorni evitano accuratamente di dare la loro solidarietà a Claudio Durigon – il sottosegretario che vorrebbe recuperare il parco Arnaldo Mussolini a Latina, cancellando la dedica attuale a Falcone e Borsellino – è la prova che il partito di Salvini non si immolerà per difenderlo. Il vecchio Carroccio lo considera «un corpo estraneo», il campione di «un altro tipo di Lega». «Lo scivolone è stato grave. E non a ciel sereno. Sono tanti gli episodi di cui è stato protagonista che non sono piaciuti affatto», confida una fonte parlamentare leghista che lasciamo anonima.

L’episodio di cui più si parla e che ha deluso, dicono, anche il segretario Salvini, che a Durigon deve moltissimo e che è stato l’unico in queste ore a dire una parola in sua difesa, è il flop della manifestazione leghista a Roma il 19 giugno. È stato poi invocato il gran caldo, ma la piazza scelta per i comizi dello stato maggiore che lanciava i referendum sulla giustizia, piazza Bocca della verità, era tra le più piccole a disposizione eppure è rimasta semivuota. Un fallimento direttamente imputato al coordinatore regionale del partito, Durigon.

Prima di quella sfortunata manifestazione c’era stata l’inchiesta di Fanpage che aveva messo nei guai il sottosegretario per i suoi rapporti con ambienti della malavita a Latina e per quella frase sul generale della finanza che indagherebbe sui 49 milioni della Lega: «Lo abbiamo messo noi». Uno scoop che aveva ridato voce all’ala nord del partito, quella che già aveva visto assai male la nomina dell’ex sindacalista pontino nel governo Draghi. Giudicando assai più meritevole e qualificato di lui per il posto di sottosegretario all’economia il deputato ex sindaco di Padova Massimo Bitonci.

A che punto sia arrivata la tensione interna su Durigon lo si è capito un paio di settimane fa, quando lo scontro sotterraneo è esploso all’esterno. È successo il 28 luglio scorso quando Paolo Capone, segretario nazionale dell’Ugl – il sindacato di destra che proprio Capone con il suo vice Durigon ha portato in dote alla Lega di Salvini – ha attaccato in diretta tv (La7) il più importante rappresentante della Lega nord delle origini: Giancarlo Giorgetti. «Il ministro dello sviluppo economico sta facendo male il suo lavoro, come lo hanno fatto male i suoi predecessori», ha detto senza giri di parole il sindacalista, uomo di fiducia di Durigon. Giorgetti e i suoi amici hanno capito benissimo e hanno preso nota.

La mancata difesa di Durigon da parte della Lega spinge Pd, 5 Stelle, Leu e Sinistra italiana a chiedere ogni giorno – tanto più ieri in occasione dell’anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (vedi intervista accanto), le dimissioni del sottosegretario. «Non può restare al suo posto – ha detto ieri la capogruppo dei deputati Pd Serracchiani – deve lasciare l’incarico. Diversamente il parlamento chiederà a Draghi di intervenire». È la mozione «di sfiducia» confermata ieri dal deputato Enrico Borghi, sulla quale si cercherà la convergenza degli altri gruppi (M5S e Alternativa c’è hanno già presentato da mesi mozioni simili, ma a seguito dell’inchiesta di Fanpage). «Se alla ripresa Durigon sarà ancora lì, abbiamo intenzione di chiedere che venga messa ai voti», dice Borghi. Ben sapendo che potrà essere al massimo una mozione di «censura», non essendo i sottosegretarie legati al parlamento con il vincolo della fiducia.

Per quanto la si giri, la questione è semplice. E ha molti precedenti, dal caso Pappalardo del 1993 al caso Siri del 2019, tutti risolti allo stesso modo: la revoca dell’incarico da parte del presidente del Consiglio. Dunque tocca a Draghi cacciare Durigon. La Lega non farà le barricate per impedirglielo.