Fiducia piena, ampia e senza dissensi: il governo incassa la fiducia con 235 sì, 154 no e 5 astenuti della Sudtiroler. Mancano all’appello 3 voti, ma 2, Pichetto Fratin e Cappellacci, erano in missione.

Se qualcuno si aspettava che trapelassero in aula le divisioni, le gelosie e le tensioni che permangono nella maggioranza è rimasto deluso, né poteva essere diversamente trattandosi della prima prova e oltretutto con la trattativa sui sottosegretari in corso, con tanto di vertice forzista a Villa Grande ieri sera.

Semmai qualche indicazione si può ricavare dalla complicità tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini messa platealmente in scena dai due tagliando fuori un Antonio Tajani a tratti imbarazzato. Come quando la premier si scaglia contro chi in Europa pretende di «vigilare» sull’Italia. Il leghista si spella le mani. L’azzurro resta immobile.

Del resto ieri era il giorno di Giorgia Meloni al debutto e delle opposizioni. Spazio limitato dunque per i capigruppo della maggioranza, costretti nel ruolo di scudieri, Francesco Lollobrigida della premier, Alessandro Cattaneo di Berlusconi che prenderà oggi la parola a palazzo Madama, come lo stesso capo dei deputati azzurri annuncia con trepidante emozione.

Con un oratore di quel calibro che torna in parlamento al povero Cattaneo non restava molto da dire oltre a sottolineare l’importanza non solo numerica ma anche politica di Forza Italia e assicurare lealtà al governo.

Si allarga di più il leghista Riccardo Molinari, ma anche nel Carroccio la parte del leone la farà Salvini oggi al Senato.

Non che negli ultimi due giorni sia stato al proprio posto. Gioca anzi a fare la parte del premier ombra, sgomita per rubare la scena alla Prima Donna. Il ministro degli Interni di fiducia del Capitano, Matteo Piantedosi, ha dato subito seguito alla dichiarazione di guerra contro le Ong minacciando di impedire l’ingresso nelle acque territoriali italiane. Salvini si congratula rumorosamente: «Bene l’intervento del ministro degli Interni».

Poi, anche per dimostrare che lui si muove a tutto campo, propone una moratoria dei distacchi per morosità delle bollette non pagate. È solo allenamento. I fuochi artificiali arriveranno oggi.

Gli applausi dai banchi del centrodestra, foto LaPresse
Gli applausi dai banchi del centrodestra, foto LaPresse

A illustrare la situazione, almeno nei progetti e nei desiderata della Lega, ci pensa comunque Molinari, rivolgendosi direttamente alla premier: «Lei ha vinto come leader di una coalizione che ora vuole attuare il suo programma comune, come è dimostrato dal fatto che vicino a lei siede Salvini. Questo è per noi il principale impegno per far seguire alle parole i fatti».

Al leghista scappa anche un «vigileremo» che sa troppo di Macron: che siano alleati o nemici o capi di altro Stato pare che tutti si sentano in dovere di vigilare sulla «underdog», come si definisce la stessa Meloni, arrivata a scalare palazzo Chigi.

Né Cattaneo né il collega padano si scostano dalla linea tracciata dalla premier. Ma se il primo si limita a segnalare che sul fronte della Giustizia il partito di Berlusconi reclamerà il saldo in termini di garantismo, il secondo riprende uno per uno tutti i temi toccati dalla presidente del consiglio, dal merito nell’istruzione alla battaglia navale contro i «clandestini» sino all’odiato reddito di cittadinanza, accelerando però su ciascuno dei capitoli, spingendosi sempre un po’ più in là della leader tricolore.

Su un fronte centralissimo, quello della politica estera, Molinari scopre il gioco spiattellando apertamente ciò a cui la premier aveva solo alluso senza scoprirsi troppo: «Basta parlare di atlantismo ed europeismo come se fossero la stessa cosa». Non lo sono ed è l’Europa a determinare la dipendenza dalla Russia, dalla Cina e da quei Paesi nei quali «non c’è quella libertà per la quale si batte l’Alleanza atlantica».

Lo si era già capito dal discorso della presidente ma la Lega lo chiarisce oltre ogni dubbio.

L’atlantismo di questo governo sarà d’acciaio. L’europeismo no: sarà anzi sbilanciato a favore dei Paesi dell’est, Polonia in testa, e dunque dell’asse Washington-Londra-Varsavia, certo non di quello dei vigilanti parigini o di Berlino.

Se il buongiorno si vede dal mattino e se il quadro non cambierà con l’ingresso in campo dei pezzi da 90 Berlusconi e Salvini, più che una divaricazione nella maggioranza c’è da aspettarsi una competizione nel forzare sempre più la mano. Ma nella stessa direzione.