Cinquanta milioni di anni fa, milione più milione meno, quando degli ominidi non c’era nemmeno l’ombra (Lucy, ovvero l’Australopithecus afarensis, conta la pochezza di 3,2 milioni di anni), si affacciavano alla ribalta del pianeta i progenitori dei cetacei, i mammiferi marini di grossa taglia che avrebbero da allora in poi popolato le acque oceaniche e successivamente anche i testi, letterari e non, a cominciare dalla Bibbia. Il Leviatano fa la sua prima apparizione nel Libro di Giobbe, poi è in cartellone con Giona e le sue avventure, ma è Aristotele che lo ‘battezza’ e da allora il kètos, ‘balena, mostro marino’, entra ufficialmente nella nomenclatura scientifica dove i cetacei si insediano di diritto nel mondo degli animali biologicamente determinati, ma per sempre distinti quanto a grandezza e terribilità. Thomas Hobbes nel 1651 consegna alla filosofia politica un trattato che la dice lunga sulla fama che l’animale si era conquistata nei secoli. Ma naturalmente è con Herman Melville che la balena, come creatura marina che segna il limite tra il noto e l’ignoto, s’infeuda nell’immaginario moderno e diventa tratto segnaletico della discontinuità che marca il mondo contemporaneo rispetto a quello che precede l’industrializzazione.
A questo gigante del mare Philip Hoare, scrittore, giornalista, regista, autore di opere di non fiction (Oscar Wilde, Stephen Tennant, Noel Coward), ha consacrato le sue energie migliori e dedicato varie pubblicazioni e iniziative. Ma il suo cuore batte per Moby Dick. Basti dire che tra il 2011 e il 2012 ha condotto la titanica impresa di realizzare un audiobook online nel quale i 135 capitoli del romanzo di Melville sono letti da altrettanti personaggi celebri in vari settori e illustrati da artisti contemporanei. Nel 2008 Hoare ha pubblicato Leviathan: or, the Whale, calco preciso del titolo melvilliano Moby Dick: or, the Whale, aggiudicandosi il BBC Samuel Jonhson Prize. La scintillante traduzione che è ora nelle mani del lettore italiano, Leviatano ovvero La balena (trad. Duccio Sacchi e Luigi Civalleri, Einaudi, euro 22,00), è molto di più delle sue 427 pagine, fitte di immagini, aneddoti e succose divagazioni. Come il racconto di Ismaele, anche Leviatano è un luogo totale nel quale è facilissimo precipitare, con molte entrate e pochissime uscite. È insieme un commento a Moby Dick, una biografia di Melville, un trattato di etologia sui cetacei, un reportage su quello che è stato ed è tuttora il business legato alla caccia alle balene, ma è anche un resoconto sullo stato della letteratura americana alla metà dell’Ottocento: il capolavoro di Melville risalta nel contesto del romanzo ottocentesco e delle opere dell’amico Hawthorne e di Thoreau. Va ricordato che anche Poe aveva fatto partire da Nantucket la nave che porta Gordon Pym verso il suo destino.

Ma il libro costituisce anche una definitiva resa dei conti con i terrori dell’infanzia, quei terrori che generano e nutrono l’immaginazione dell’adulto. Apprendiamo che Philip rischiò di nascere in acqua, precisamente in un sottomarino, e dopo una giovinezza di paura dell’acqua, come per contrappasso dantescamente congegnato, non solo ha imparato a nuotare ma è caduto sotto la malia dei cetacei. Quella che lui stesso definisce whale obsession lo domina pienamente e lo rende felice, un Achab pieno di fiducia e di entusiasmo, letteralmente magnetizzato dalla contemplazione delle profondità buie degli oceani e dei loro colossali abitatori.
Gli appassionati melvilliani troveranno in questo testo moltissimi dati sull’origine di Moby Dick, le sue fonti e le circostanze che permisero all’autore di concepire un romanzo di inesauribile simbolismo. Apprendiamo che, come Robinson Crusoe aveva rielaborato un fatto di cronaca, la storia di Moby Dick prende spunto dalle gesta di una balena bianca che aveva imparato ad attaccare le navi baleniere e causato l’affondamento di una di esse, la Essex (1820). I titoli dei quindici capitoli rendono un’idea di massima dell’argomento, ma le divagazioni e le ramificazioni della materia fanno dell’intero testo una struttura priva di centro. Hoare non procede mai in linea retta, ma si sposta liberamente, inseguendo allegramente un motivo, un dato, un’immagine, circostanza che arricchisce il testo in termini di leggerezza, con un effetto di ben calcolata spontaneità.

«Herman Melville è scrittore eminentemente religioso». Così Gabriele Baldini in Melville, o le ambiguità sanciva la peculiarità di questo autore nel confronto tra il finito e l’infinito, perché ogni volta che ci si accosta a creature di dimensioni tanto imponenti occorre riformulare i limiti che segnano la nostra specie. Hoare legge Melville e il mondo dei cetacei con lo zelo e la sollecitudine che un sacerdote allevato in un tempio userebbe per riconoscere nelle volte e nelle colonne, nei vuoti e nei silenzi fruscianti, i segni di una divinità morente. Analogamente a quanto è accaduto ai bisonti, balene, megattere e capodogli hanno subito i colpi decisivi di una caccia plurisecolare da parte di un predatore anomalo, contro il quale i cetacei non hanno saputo né fuggire né difendersi. E come è avvenuto in seguito per il petrolio, l’ansia di accaparrarsi l’olio di balena, il prezioso spermaceti, o l’ancora più preziosa ambra grigia, ha scatenato nei cercatori e nei mercanti le potenzialità più distruttive. Usciamo da questo libro con cresciuta consapevolezza di quanto le immense fortune generate dalla mattanza dei grandi cetacei fossero letteralmente strappate a questi animali e di come, per converso, l’ombra di quei corpi smisurati andasse occupando la terraferma. Non c’era attività che non ne fosse beneficiata. Anche l’incoronazione dei re veniva glorificata dal profumato olio di un mostro. Le baleniere tornavano lucide e odorose dopo anni di caccia, cariche di tonnellate di carne e grasso, i loro uomini rientravano nei porti pieni di storie di avventura e d’incubo.
Le pagine di questo Leviatano consegnano gli estremi di una parabola eloquente sotto il profilo antropologico: il capodoglio, da riserva di merce preziosa a mostro, e poi a creatura da proteggere, segnacolo di un mondo perduto. Più che la storia dei grandi mammiferi marini, Hoare ci porge uno specchio per guardare alla storia dei mammiferi umani, di piccola taglia ma abilissimi nel portare a compimento, tra innumerevoli contraddizioni, grandi stermini e a conseguire il loro, quantunque precario dominio.