Un mondo con un governo mondiale che sovraintende a una molteplicità di poteri locali chiamati centurie che hanno preso il posto delle nazioni. Ci sono regolari elezioni, una pluralità di formazioni politiche che possono essere espressioni di visioni nazionaliste, populiste, liberal, corporative (nel senso formate direttamente dalle multinazionali). C’è anche un movimento globale antisistema, che invita a boicottare le elezioni, ma le sue azioni lasciano il tempo che trovano. E poi c’è l’«Informazione», una sorta di organizzazione non governativa che controlla il rispetto delle regole definite per dare stabilità al sistema. Funziona anche come una fusione di un capillare social network, un motore di ricerca e un social media, usato da tutti per accedere al flusso ininterrotto di informazione: essere fuori dal flusso significa essere fuori dalla vita delle comunità.

È QUESTO IL MONDO descritto nel romanzo della giovane autrice Malka Older Infomocracy. Un sistema perfetto (Frassinelli, pp. 352, euro 20) che vede come protagonisti una «guerriera» dell’informazione e un politico di professione alle prime armi che lavora per un partito che, in una ipotetica classifica mondiale, occupa la undicesima posizione.
Il libro miscela la fantascienza sociale di fine Novecento, l’hard boiled americano degli anni Cinquanta con una spruzzata del romanzo filosofico ottocentesco, ma al di là dei generi ai quali attinge, la scrittrice ha il merito di aver costruito un dispositivo narrativo critico verso una concezione della globalizzazione neoliberista, in auge fino a quando la crisi del 2008 ha rimesso tutto in discussione.
Il mondo è diventato «piatto» dopo la scomparsa degli stati nazioni; nel gioco politico sono ammesse competizioni aspre ma nulla deve però turbare l’ordine costituito. È bandita la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie tra le centurie; e vietato è anche il lessico bellico.

L’ORDINE DEL DISCORSO deve essere cioè politicamente corretto su tutti gli aspetti del vivere in società per prevenire ogni possibilità di conflitto sociale o culturale.
L’«Informazione», cioè l’organismo che controlla e interviene per prevenire ogni deviazione dalla retta via, funziona come una organizzazione non governativa: può incontrare anche il disprezzo dei vari schieramenti politici, ma è l’unica forma di governance sovranazionale ammessa e legittimata da tutti i partiti.
Il sistema, viene spesso ripetuto nel libro, è perfetto. Ci sono procedure per risolvere i conflitti quando si manifestano, mentre le regole sono flessibili nel tempo perché l’«Informazione» le muta a seconda della contingenza. Poi accade qualcosa di imprevisto, che mette in evidenza che il sistema non è proprio perfetto e che, ogni tanto, serve una «rivoluzione» (ovviamente pacifica che cambia tutto affinché non cambi nulla) per iniettare un po’ di adrenalina in un corpo politico stanco e annoiato. E così tornano al centro della scena, intrighi, violenza, scenari di guerra, conflitti di classe latenti.
Infomocracy ha il pregio di costruire con le teorie della globalizzazione neoliberista e della formazione (e manipolazione) dell’opinione pubblica, grazie a vecchi e nuovi media (la Rete), la cornice per un romanzo avvincente ma talvolta troppo misurato nel presentare il retropensiero di una autrice che usa il futuro per parlare del presente.

INTERESSANTE è anche il fatto che pilastri di questo sistema sono formazioni che potremmo definire di conservatori, nazionalisti o populisti, i quali con disinvoltura sfoderano termini antichi come nazione, comunità, Stato per indicare una realtà dove questi stessi soggetti sono significanti vuoti per essere riempiti di significati funzionali alla conquista del potere. Più o meno come avviene nella discussione pubblica europea o statunitense. O italiana.
Il sistema può essere presentato come perfetto, ammettono sconsolati i protagonisti, solo quando vengono meno le possibilità di una trasformazione radicale dei rapporti di forza e sociali. E dunque il ritorno della nazione, della patria, dei valori della solidarietà, invocati come la soluzione dei problemi di un mondo unificato, servono invece a confermare la miseria del presente.