Trump saluta a pugno chiuso e ribatte alle accuse di «contatti elettorali» del suo staff con i russi reagendo con l’accusa di «maccartismo» e ieri ha contrattaccato, accusando Obama di averlo fatto spiare durante la campagna elettorale. L’accusa, pesante, è di un altro Watergate.

Dall’altra parte i democratici accusano Trump e il suo entourage di «avere parlato coi russi» in campagna presidenziale, sull’argomento tabù delle sanzioni per via della grave quanto oscura crisi ucraina.

Siamo a un completo quanto singolare capovolgimento di sensibilità dei simboli americani. Parlare con i russi, era la necessità rappresentata negli anni Sessanta-Settanta dalla sinistra liberal, per un disgelo politico dentro le asperità belliche della Guerra fredda, che intanto si rappresentava ufficialmente in vertici internazionali ma anche nei messaggi della cultura di massa (pensate agli straordinari Hollywood Party, ad Arrivano i russi con un formidabile Alan Arkin e perfino Sting ha cantato Russians, una canzone nella quale «anche i russi amano i loro figli»).

Ora «ha parlato con i russi» sembra l’accusa più infamante. Anche se finora non si è capito bene che cosa voglia dire. Giacché a danneggiare davvero Hillary Clinton, per sua ammissione più che il topos narrativo del famigerato hacker russo, sembra essere stato il capo dell’Fbi James Comey che a due settimane dal voto, sollevò il problema della pericolosità della famosa gestione delle sue mail tanto da mettere in dubbio la legittimità della candidatura Clinton.

Che già era entrata in crisi sia per l’uso spregiudicato dei messaggi – server pubblico per comunicazioni private e quello privato per quelle pubbliche – sia per lo scandalo tragico del ruolo Usa nella Libia del 2011 e 2012, quando lei e Obama «fecero una figura di merda». Questo disse Obama a tre mesi dalle presidenziali.

Che il capo dell’Fbi e il presidente Obama fossero a libro paga di Putin? Ma lo snaturamento di senso e il rigirare la frittata dall’altra parte, vale naturalmente anche per il presidente che più di destra non si può, Donald Trump.

Non sono passati nemmeno due mesi dall’elezione che alle accuse di colloqui spregiudicati con l’ambasciatore russo risponde che si tratta di «caccia alle streghe» e ora sfodera il Watergate di nixoniana memoria per capovolgerlo pesantemente addosso all’ex presidente statunitense Barack Obama.

Che se fosse vero sarebbe un capovolgimento di fronte mentre è in corso un duro, spregiudicato uso delle 17 agenzie d’intelligence americane impegnate l’una contro l’altra in una guerra – almeno per ora – incivile americana.

Giacché l’unica vera caccia alle streghe in corso in questo momento negli Stati uniti, dopo il Muslim Ban e ora con una nuova legge di limitazione dell’immigrazione che lo staff xenofobo della Casa bianca stanno preparando, è la caccia all’immigrato «senza documenti», il rimpatrio, l’arresto, la deportazione di centinaia di migliaia di persone.

Mentre febbrilmente si lavora all’allestimento di un nuovo muro con il Sud che allunghi quello di Tijuana che già c’è. E c’è un altro maccartismo, di nuovo conio ma nelle mani di Donald Trump: quello sociale con la persecuzione delle conquiste di massa. Con la cancellazione dei diritti alla salute per le classi popolari e dei diritti ambientali per tutti.

Lo scambio simbolico e di linguaggio tra destra e sinistra è inquietante ed già accaduto in alcuni periodi della storia dell’umanità, per esempio tra le due guerre mondiali.

E lo sentiamo nel caos di questi giorni: la chiacchiera “progressista” di un nuovo improbabile quanto pericoloso sovranismo nazionale in nome dell’antiglobalismo; l’antiglobalismo che ripropone la primazia solo ideologica ormai del «paese più potente del mondo»; il neo giustizialismo che azzera i contenuti sociali e del conflitto di classe, per ricondurre ogni male alla peccaminosa sfera del Potere e al disprezzo della politica.

Sullo sfondo della confusione patinata che ci è dato vivere, la guerra incivile americana – per ora solo incivile – che nasconde a destra e ahimé a sinistra il sordo rumore dei conflitti armati disseminati in modo bipartisan dall’Occidente e che scandiscono il tempo contemporaneo, e dei quali nessuno parla più; e la disperazione concreta di milioni di esseri umani in fuga dalle nostre guerre – tante quelle americane – e dal modello di sviluppo diseguale, da rapina che abbiamo instaurato sul pianeta.