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La guerra del Golfo nei centri commerciali

La guerra del Golfo nei centri commerciali

Calcio Lo sport come prosecuzione della guerra con altri mezzi. L’ingresso dell’Arabia Saudita nei salotti buoni del football è la risposta al Qatar, dove tra quattro anni si terranno i mondiali

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 23 novembre 2018

Lo sport come prosecuzione della guerra con altri mezzi. L’ingresso dell’Arabia Saudita ne i salotti buoni del calcio è la risposta al Qatar, dove tra quattro anni esatti si darà il calcio d’inizio dei primi Mondiali invernali della storia. Come se poi fosse quello il problema, fermare i campionati nazionali per un mese, e non la compravendita di voti che ha fatto crollare l’impero di Blatter e Platini o, ancora peggio, le migliaia di lavoratori migranti costretti in schiavitù per la costruzione dei magnifici stadi con aria condizionata che ospiteranno la competizione. Forte dell’appellativo di «riformista» – a spulciarne l’archivio, il New York Times ha definito tale ogni sanguinario regnante dell’Arabia Saudita – il principe ereditario Mohammed Bin Salman ha inserito nel suo ambizioso progetto Vision 2030, che include soprattutto investimenti su nuove tecnologie, intelligenza artificiale e riconversione energetica, una buona dose di sport.

SI È COMINCIATO con boxe e wrestling, rigorosamente declinati al maschile, ci si è avvicinati ai motori, si è investito pesantemente nelle multinazionali che organizzano i grandi eventi sportivi, ora si punta al calcio. Come ha riportato il britannico Times, attraverso Softbank sono stati offerti ben 25 miliardi alla Fifa per diventare azionisti al 49% dei Mondiali di calcio e inventare una nuova competizione tipo Mondiali per club. Ottenuto che l’Arabia finisse nel girone dei padroni di casa e giocasse la partita inaugurale di Russia 2018, Bin Salman si è seduto in tribuna d’onore davanti alle telecamere di tutto il mondo e di fianco a Infantino, presidente Fifa che ha incontrato molte altre volte in questi anni, nonostante lo svizzero rifiuti di rispondere quante. Tra un’esibizione tennistica saltata (Federer che si rifiuta e rinuncia ai soldi dopo l’omicidio Khashoggi), e una Supercoppa italiana tra Juventus e Milan che invece si farà, perché i soldi (una ventina di milioni per tre anni) per i padroni del calcio italiano non puzzano mai, l’assalto saudita alla Fifa è la versione soft power di accerchiamento al Qatar che vede il suo lato hard nella repressione delle cosiddette primavere arabe e nella feroce guerra in Yemen. Dopo che Abu Dhabi comprò nel 2008 il Manchester City, nel 2011 è stato infatti il turno del Qatar che grazie ai buoni uffici di Sarkozy e Platini prese il Paris Saint-Germain, cominciando a riempirlo di giocatori stellari. Tra la vendita di gas e un acquisto immobiliare, di armi o di marchi del lusso, il Qatar ha poi imposto Al Jazeera sul mercato dei diritti tv sportivi, fino alla ciliegina sulla torta: diventare il primo sponsor della storia sulla maglia del Barcellona. A questo punto è arrivata la risposta saudita, il tentativo di acquisto del Manchester United, la Supercoppa italiana a Gedda e, soprattutto, finita l’epoca del vecchio Blatter la decisione di puntare al pesce grosso: comprarsi la nuova Fifa di Infantino. La guerra del Golfo oggi si combatte con i soldati nelle periferie dell’impero, e con i calciatori nei suoi centri commerciali.

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