Strana logica quella che sostiene l’ipotesi di riforma della legge sul prezzo dei libri. Il Parlamento vuole cioè modificare alcuni articoli di una legge approvata inizialmente nel 2001 e «ritoccata» nel 2011 per facilitare la vendita di libri e contribuire così alla ripresa di un settore in forte crisi e per contrastare le voraci politiche commerciali dell’e-commerce (Amazon e altre imprese made in Italy).

NEGLI ULTIMI ANNI hanno chiuso infatti oltre 2500 punti vendita di libri, determinando la perdita del avoro di 4000 uomini e donne, mentre il processo di concentrazione oligopolistica nella distribuzione e vendita procedeva a tappe forzate. Anche i dati diffusi dall’Associazione italiana degli editori (Aie) sono sconfortanti. Rispetto agli altri paesi europei, lo stivale vede una percentuale del 60% degli abitanti che «apre» un libro l’anno, rispetto a percentuali superiori all’80% in Germania, Francia, Inghilterra. Se poi il dato si scorpora, gli acquisti di libri – cartacei e elettronici – crollano miseramente in Italia. Neppure le vendite online compensano le perdite in libreria. Il tutto all’interno di una paradosso: il ciclo di vita del libro è diventato brevissimo. Si stampano tantissimi libri con tirature sempre più ridotte (un saggio che vende 200-300 copie viene considerato quasi un miracolo dagli editori indipendenti).

Così, a otto anni di distanza dall’ultimo intervento legislativo, il Parlamento è chiamato ad esprimersi non tanto su una politica di incentivo alla produzione e alla lettura, bensì su un aspetto – il prezzo del libro – che certo costituisce una barriera agli ingressi delle librerie, ma non è poi così distante dai prezzi di copertina nel resto del Vecchio continente. Assente per il momento è la discussione sul piano nazionale della lettura e sulle proposte di rafforzamento delle biblioteche come punto di accesso alla lettura.

Le proposte di modifiche presentate nei giorni scorsi – che hanno avuto un consenso trasversale tra i partiti che siedono in Parlamento – riguardano le politiche di sconto che possono essere fatte sia dagli editori che dai librai. In Italia ha sempre prevalso una politica dei prezzi saldamente nelle mani degli editori. Erano loro, fino al 2001, che decidevano quali possibili sconti fare ai librai e di conseguenza sul prezzo di copertina. La cifra stampata sui libri è ripartita tra editori, distributori e librai. La parte del leone la fanno gli editori – dal 40 al 60% va nelle loro casse -; poi arrivano i distributori, che prendono dal 20 al 35%. Il resto – spesso una cifra irrisoria – andava nelle casse dei librai. La politica degli sconti è figlia infatti delle economie di scala. Più l’editore è grosso, più sono alti gli sconti che si può permettere. Penalizzati sono i piccoli editori. Così nel 2011 i legislatori proposero una soluzione di compromesso: gli sconti vanno bene, ma fino a un tetto del 15% del prezzo di copertina. Contenti tutti. Contento nessuno. Perché le librerie hanno continuato a chiudere, mentre c’è stata una riduzione drastica della bibliodiversità: cioè hanno chiuso molti editori, mentre altri sono stati acquisiti entrando a far parte del paniere di grandi gruppi editoriali, che hanno cercato così di rispondere a una domanda di un pubblico fortemente differenziato e che ha caratteristiche decisamente difficili da controllare.

I LETTORI «FORTI» hanno un «palato» spesso sofisticato. Amano lo scrittore di successo, ma seguono con attenzione e curiosità autori e filoni saggistici qualificati come «nicchie», che però danno il ritmo delle vendite annuali. Inoltre il lettore abituale legge più libri al mese – e all’anno – e non segue i flussi di quello che viene qualificato come mass market, il mercato di massa. La vendita dei libri segue cioè le dinamiche di quella «coda lunga» analizzata da un economista di rete, Chris Anderson, in base al quale un mercato funziona bene e garantisce profitti costanti nel tempo se ha la capacità di soddisfare domande fortemente differenziate. Per i libri, significa che ciò che conta, nel lungo periodo, non sono le grande tirature o i best seller ma titoli e autori che vendono con continuità nel tempo e nello spazio.

L’industria editoriale italiana ha seguito strade già sperimentate altrove. Grandi gruppi editoriali, che riproducono al proprio interno una bibliodiversità fondamentale per vendere, ma che spesso sperimentano poco, non hanno politiche da talent scout, lasciando la scoperta di nuovi scrittori e saggisti ai piccoli editori indipendenti, che rischiano molto e che si vedono scippare dai grandi editori l’autore scoperto una volta che ha conosciuto un po’ di successo. Se poi lo sguardo si posa sulla distribuzione e vendita, si vedono aprire negozi di grandi catene gestiti spesso secondo una logica più da supermercato che da libreria.

Le politiche degli sconti nascono proprio in questi supermercati del libro. Applicare uno sconto del 15% è una scelta gestibile da un grosso editore. Meno facile è per un piccolo editore indipendente che deve fare fronte a costi industriali in continua salita, a costi di distribuzione anch’essi in aumento. La proposta di modifica presentata alla Camera, stabilisce un tetto molto più basso degli sconti che di fatto pone sullo stesso livello grandi e piccoli editori. Ovvio che l’Associazione italiana degli editori stia facendo campagna – e operazione di lobby – per modificare il testo in discussione, mentre un moderato giudizio positivo è stato espresso dall’associazione degli editori indipendenti e dal sindacato dei librai.

SULLO SFONDO c’è sempre l’ombra, in espansione, delle vendite online. Il cattivo si chiama come sempre Amazon, ma anche altre imprese di vendita online sono state spesso messe all’indice per la loro politica degli sconti. Va detto che Amazon ha sempre rispettato la legge italiana che imponeva il tetto al 15%, ma magicamente il prezzo di copertina si riduceva ulteriormente nelle politiche di promozione del gruppo – le spese di distribuzione praticamente azzerate, l’impegno a consegnare il libro in dodici, massimo ventiquattro ore. Se per i libri ad alta tiratura – il mass market – tutto ciò non è rilevante (basta andare in una catena di librerie per trovare un determinato volume), per i titoli di nicchia o specialistici val bene attendere dodici ore per vederselo consegnare a casa a un prezzo più che scontato.