Una volta il mito di Roma si infrangeva contro il raccordo anulare. Una volta. Ai tempi di Accattone, ma anche di Amore tossico. Alcuni fuoriclasse come Renato Nicolini, assessore alla Cultura del Campidoglio più rimpianto, tentarono nel tempo di sovvertire le regole dell’«alto» e del «basso». Non ci riuscirono.

QUANDO Walter Siti, nel 2008, fece notare che Il contagio tra centro e periferia (nella capitale, come in tutto il Paese) avveniva ormai alla rovescia – la borghesia aveva occhi solo per i costumi di borgata, li imitava, li bramava, li esibiva – Zerocalcare ancora non era «l’ultimo intellettuale». Maria De Filippi sì. Poi un ragazzo che viene dalla «borgatasfera» casilina – lo scrittore Valerio Mattioli – rovescia la prospettiva e racconta (Remoria, 2019) «la città invertita» di Remo, non quella di Romolo, quell’universo in espansione che è il Gra: non l’ultimo avamposto, ma l’orizzonte degli eventi che «manda in frantumi le categorie di limite, di margine, di frontiera».

ORA CI PENSA Christian Raimo a svelare quella che ormai è diventata quasi solo una città «inventata», «una fabbrica di miti», «retroflessa, ipnotizzata dal suo mito, succube di sé, di un passato di cui abusa per continuare a presentarsi in società come uno sfondo-museo».
A pochi mesi dalle elezioni amministrative tra le più difficili di sempre, rinviate a ottobre causa Covid e forse anche in attesa che a qualcuno venga davvero voglia di fare il sindaco di Roma, l’assessore alla Cultura del III municipio, classe 1975, attivista politico cresciuto tra la borgata Ottavia (a nord) e Casal de’ Pazzi (a est), racconta «Vita morte e bellezza» della sua città. Roma non è eterna, pubblicato per i tipi di Chiarelettere (collana Reverse, pp. 263, euro 16) mostra le potenzialità di una metropoli che, da troppo tempo ormai, ha perso il suo ruolo di capitale.

ROMA CANTATA, descritta, osannata, mitizzata da millenni, oggi può offrire una «grande bellezza» che «non è quella del passato ma quella della sconfitta». Raimo – che conosce le due anime della sua città («nessuno l’ha subita come me»), quella ribelle e quella dell’ordine, del potere e della sedizione – prova a raccontare le periferie fuori di retorica, smascherando i falsi miti e le fake. Mostra non tanto una città impossibile, quanto «non governata». Rimette insieme le tessere della storia recente e, con il piglio di chi si è nutrito di pane e occupazioni, di Adorno, Arendt, Camus e pure Tomas Milian, di chi conosce la filosofia teoretica e il mondo trap, con l’aiuto di YouTube ci accompagna nella cultura e sottocultura urbana, nei meandri della Roma vera, una città «qualunque», in realtà molto sconosciuta perfino a chi ci vive. Una città che si sta trasformando, che non parla più il romanesco ma il «romanoide», senza che se ne abbia completa contezza. Basterebbe sapere leggere le scritte sui muri comparse negli ultimi anni, in arabo e in altre lingue. Si scoprirebbe un mondo di tag che non è solo «Geco», ma «Nur» o «Ghali», e tutto ciò che quei nomi si portano dietro.

«DA QUANDO FACCIO l’assessore alla Cultura, me ne rendo conto sempre più chiaramente – scrive Raimo – l’assenza di spazi, di diritti, di possibilità e opportunità non è solo un problema ma anche un’occasione di guadagno» per alcuni: «Rendere scarso un bene favorisce chi quel bene ce l’ha». «Buttare», «Controllare», «Sgomberare», «Escludere» (alcuni capitoli del libro) è una strategia politica, una scelta, non un mero atto di malgoverno.
Ma Roma, «sicura della sua identità, raccoglie le proiezioni altrui, con ironica indifferenza, sapendo che nessuno potrà riscriverla del tutto». Il suo tessuto narrativo è vasto e Raimo lo decifra come un cicerone dell’immaginario. Come già aveva fatto Mattioli, l’assessore del III municipio usa il cinema e la scena musicale per raccontare le contraddizioni, i conflitti, «l’arroganza incarnata dal potere» e «lo sberleffo, la follia organizzata» usata per combatterla. «I romani sono il popolo più allegro del mondo, perché per essere triste devi almeno avere un minimo di speranza», è la «frase perfetta» di Toman Milian per raccontare la capitale d’Italia. Raimo in realtà un po’ triste lo è, perché non si rassegna e continua a ricercare la Roma migliore, quella possibile.