Neanche il vertice in California era ancora finito con la promessa roboante di gettare le basi per un «nuovo modello» di cooperazione tra i due Paesi, neanche il tempo di capire quale sia stato davvero il gradimento di Cina e Stati uniti rispetto ai due giorni, per un totale di otto ore, passati insieme per la prima volta dai due presidenti Barack Obama e Xi Jinping, che subito un nuovo caso scuote profondamente i rapporti già in difficoltà delle due grandi potenze. E questo malgrado i sorrisi e la passeggiata lungamente ostentate dai due leader in disinvolto abbigliamento casual.

Si attendeva, o meglio, si sapeva dai media di tutto il mondo che uno degli argomenti più importanti che sarebbe stato in discussione tra i due presidenti sarebbe stato quello relativo agli attacchi informatici, alla ricerca di una collaborazione che potesse alla fine accontentare entrambe le parti. Le famose e da tempo annunciate «regole comuni sulla cybersicurezza».

La notizia, però, secondo la quale Edward Snowden , la fonte del Guardian per lo scandalo Prism, sarebbe rifugiato ad Hong Kong, colora di dubbi e nuove ipotesi ogni cosa. Washington ad esempio, forse nel tentativo di confondere le acque sulla reale entità dello scandalo – cittadini americani e stranieri spiati via web e telefono, un autentico attacco alla privacy – sfodera qualche dubbio sul tempismo di scandalo e rivelazioni, facendo chiaramente intendere che dietro a tutta la vicenda ci possa essere la Cina.

La questione è esplosa significativamente poco prima del summit tra Obama e Xi Jinping, proprio nell’ambito di un incontro che doveva occuparsi di sicurezza informatica e infine è arrivata la notizia che la fonte, la «gola profonda», si trova a Hong Kong, di fatto in Cina. Per gli Stati uniti sono sospetti, che fanno quasi una prova. E per Obama deve essere stato uno smacco l’affermazione di Edward Snowden, secondo il quale a Hong Kong spera di trovare «le libertà che mancano negli Stati Uniti».

Pechino non si è ancora espressa ufficialmente, ma ora il pallino è davvero finito nelle mani delle autorità cinesi. Secondo gli accordi stipulati nel passato tra Hong Kong e Stati Uniti, di fronte ad una richiesta di Washington, Hong Kong potrebbe estradare il giovane ex agente Cia, ma c’è sempre la possibilità di un veto cinese.

Secondo gli accordi, infatti, Pechino può porre il veto per l’estradizione solo se questa mette a rischio la «difesa, gli affari esteri, o affari di interesse pubblico della Cina», un’ipotesi che sembra applicarsi solo ai cittadini cinesi.

Ma c’è un precedente eccellente e, da questo punto di vista, assai significativo e probabilmente molto attinente e inversamente proporzionale al caso Snowden attuale.

La situazione infatti ricorda quando Wang Lijun, ex braccio destro dell’epurato e potente Bo Xilai, si rifugiò nel 2011 nel consolato americano di Chengdu. Allora gli Stati Uniti non vollero tenersi la patata bollente in mano e consegnarono Wang Lijun ai funzionari pechinesi, nonostante l’importanza politica delle dichiarazioni dell’ex poliziotto, che di fatto hanno segnato il futuro politico di tutto il paese.

Washington a questo giro, può essere si aspetti che il favore venga ricambiato, mentre da Pechino circolano voci che la Cina non voglia impegnarsi in questo tipo di contesa. Se Washington vorrà Snowden, è probabile dunque che possa ottenerlo.