Salvini arriva al vertice del centrodestra, poco prima delle 22, con tre nomi in mente. Uno, Giampiero Massolo, ex direttore dei servizi, è messo lì per fare numero. Gli altri due indicano opzioni opposte. Su Franco Frattini non c’è possibilità di dialogo e i leader della destra ne sono consapevoli. La sua designazione implicherebbe una scelta bellica, fatta apposta per contarsi e per mettere in campo un nome prima che Salvini, con la sua serie di annunci quotidiani, naufraghi nel ridicolo. «È una proposta già fatta sulla quale abbiamo già espresso le nostre perplessità», duettano le capogruppo del Pd Malpezzi e Serracchiani. Per Letta è «una provocazione», fa sapere il Nazareno. Il Pd la ha già bocciata una volta e non ha cambiato idea. Si sa che a Conte l’idea non dispiaceva, proprio sul nome del presidente del Consiglio di Stato un paio di giorni fa ha litigato di brutta con il segretario dem. Ma se anche scegliesse, come alcuni temono, di sostenere il candidato di Salvini, un’ampia parte dei suoi parlamentari non lo seguirebbero e non sono pochi. «Se spacchiamo il centrosinistra salta tutto», taglia corto la viceministra Castelli.

L’ALTRA OPZIONE, che piace a FdI e manda su tutte le furie gli azzurri, è Sabino Cassese. Ha significato opposto alla provocazione Frattini. Di certo seminerebbe scompiglio nelle file del centrosinistra: il Pd apprezzerebbe, i 5S lo boccerebbero. Ma se anche, come è possibile, Letta rinunciasse a un candidato che aveva inserito nella rosa fatta pervenire alla destra pur di non rompere l’accordo con Conte, il passo avanti sarebbe decisivo.
In entrambi i casi, dopo lo scontro aperto su Frattini o dopo il quasi accordo su Cassese, la forza delle cose porterebbe necessariamente a un ulteriore tentativo di eleggere Draghi, che ieri ha telefonato a Berlusconi per augurargli una pronta guarigione ma anche per cercare la distensione con uno dei leader più ostili alla sua elezione. Dopo la telefonata Tajani ha incontrato Draghi e alla fine ha confermato la posizione di Fi: «Deve restare a palazzo Chigi». Però un avvio di disgelo c’è stato. Se fallirà ancora una volta l’opzione Draghi non resterà che invocare Mattarella perché accetti la riconferma. Salvini è ancora contrario. La resistenza di Conte sembra essersi un po’ ammorbidita. Ma se la fumata bianca non arriverà entro questa settimana il panico si diffonderà tra le forze politiche a rischio di delegittimazione e sarà quella la spinta decisiva a favore dell’attuale premier o del presidente uscente.

IL VERTICE DELLA DESTRA è arrivato alla fine di una giornata da dimenticare. «Con questo show indecoroso stanno ridicolizzando il momento più alto della democrazia parlamentare. Bisogna far scegliere il presidente direttamente ai cittadini»: se non ha tutte le ragioni, di certo Renzi non ha neppure tutti i torti. Ieri è stato il giorno del caos, delle esecuzioni sommarie, della sceneggiata del centrodestra che pur di coprire le proprie lacerazioni fa proprio quel che s’indignava al solo pensiero che potesse fare la sinistra: rifiuta la scheda, non partecipa al voto. È stato anche il giorno delle proposte assurde, delle oscillazioni da mal di mare, delle guerre sorde. Non è stato affatto, invece, il giorno delle trattative. Le parti in causa non s’incontrano, dialogano per finta, non comunicano.

ALL’ALBA PIER CASINI sembrava a un passo dal colpaccio: una candidatura gradita solo a Renzi e al pattuglione centrista, Fi inclusa, ma che sembrava l’unica senza veti. Poi nel vertice della destra Salvini lo elimina: «Sarebbe un candidato della sinistra». De profundis. S’impennano le quotazioni di Elisabetta Belloni: a FdI piacerebbe molto, Salvini non si oppone, i 5S stravedono per lei. Letta la ingoierebbe fingendo d’ignorare l’inopportunità di insediare alla guida dello Stato una funzionaria ignota agli italiani e che al momento dirige i servizi segreti. Nella rosa fatta pervenire dal Pd alla destra c’è anche lei, con Mattarella, Draghi, Cassese, Cartabia e Amato. Per un paio d’ore sembra fatta, poi Renzi apre il fuoco: «Nomi tirati lì senza discussione». LeU, con la capogruppo De Petris in testa, fa fuoco e fiamme. I centristi della destra la affondano. Di Maio s’incarica del colpo di grazia: «Profilo alto ma non spacchiamo la maggioranza». Così la palla torna a Salvini, la giostra riparte ma il tempo a disposizione per evitare discredito e delegittimazione è quasi scaduto.

Errata Corrige

Alla quarta votazione il centrodestra si astiene, va in minoranza e dalle urne sale la richiesta del Mattarella bis. Salvini non sa più che pesci pigliare, ripropone Frattini, già bocciato dal Pd, e lancia Massolo. Tajani va a colloquio da Draghi mentre si continuano a bruciare candidati